Mario Orfeo nuovo direttore di Repubblica: cambio ai vertici di Gedi

Cambio ai vertici di Repubblica: da lunedì, Mario Orfeo sarà il nuovo direttore del quotidiano, subentrando a Maurizio Molinari. Oltre alla direzione, ci sarà un rinnovamento anche ai vertici di Gedi, con John Elkann che lascia la presidenza. Il suo posto verrà preso da Maurizio Scanavino, attuale amministratore delegato, mentre Gabriele Comuzzi, suo vice, sarà il nuovo amministratore delegato. La notizia, anticipata da Dagospia, ha spinto il comitato di redazione a riunirsi d’urgenza. In un messaggio inviato ai giornalisti si legge: “Cari, siamo in riunione con il Cdr – si legge nel testo del messaggio, inviato in chat a tutti i colleghi – Visto che Dagospia ha già dato la notizia: Elkann lascia la presidenza di Gedi che viene assunta da Scanavino, amministratore delegato diventa Gabriele Comuzzi (ex vice di Scanavino), da lunedì Molinari lascia la direzione di Repubblica e la direzione editoriale del gruppo Gedi e al suo posto come direttore di Repubblica arriva Mario Orfeo. Molinari diventa editorialista e collaboratore di Repubblica“. Orfeo, napoletano di 58 anni, torna così a Repubblica, dove ha lavorato tra il 1990 e il 2002 come capo redattore centrale. Ha diretto quotidiani come Il Mattino e Il Messaggero, oltre al Tg1, ed è stato anche direttore generale della Rai. Il suo ritorno alla guida del quotidiano porta con sé la necessità di trovare un successore al Tg3, da lui diretto dal 2020. L’addio di Elkann potrebbe aprire scenari di un possibile disimpegno di Exor da Gedi, anche se per ora si tratta di mere supposizioni. Tuttavia, è certo che da lunedì, nella sede di Largo Fochetti, ci sarà un nuovo direttore, il sesto nella storia del giornale, il quarto negli ultimi otto anni. Questo cambiamento arriva in un momento delicato per Repubblica, segnato dai due giorni di sciopero dei giornalisti che hanno denunciato “gravi ingerenze” da parte dell’editore durante l’Italian Tech Week di Torino, un evento gestito direttamente da Exor. Lo stesso Molinari, che resterà come editorialista, ha dovuto fronteggiare altre difficoltà, come la sfiducia ricevuta dalla redazione dopo la decisione di eliminare 100.000 copie dell’inserto economico Affari&Finanza, probabilmente per via di pressioni di Stellantis, una delle principali aziende del gruppo. In una dichiarazione, il nuovo presidente Scanavino ha espresso gratitudine all’azionista per la fiducia e ha augurato buon lavoro a Orfeo, affermando: “Assumo il nuovo incarico con l’obiettivo di lavorare insieme all’Amministratore Delegato Gabriele Comuzzo per accelerare l’evoluzione in atto e conseguire ambiziosi obiettivi di redditività per il futuro”.
Julian Assange: “Sono colpevole di giornalismo”

Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, ha recentemente testimoniato di fronte alla commissione Affari giuridici e diritti umani dell’assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Questo segna la sua prima apparizione pubblica da quando è stato liberato, dopo aver trascorso quattordici anni tra l’ambasciata ecuadoriana a Londra e il carcere di alta sicurezza di Belmarsh. Durante il suo intervento, Assange ha lanciato un duro monito sulle condizioni attuali della libertà di espressione e il suo futuro incerto. “La libertà di espressione e tutto ciò che ne consegue si trovano a un bivio oscuro. Temo che, a meno che istituzioni che stabiliscono norme come il Consiglio d’Europa non si sveglino di fronte alla gravità della situazione, sarà troppo tardi”, ha dichiarato Assange. La sua testimonianza ha sottolineato la gravità della criminalizzazione internazionale del giornalismo, puntando il dito contro il governo degli Stati Uniti per aver spinto una reinterpretazione delle leggi sulla libertà di informazione. Assange è stato chiamato a parlare in merito a un rapporto preparato dalla parlamentare islandese Thorhildur Sunna Aevarsdottir, che sarà discusso e votato il 2 ottobre. Il rapporto si concentra sul trattamento che il fondatore di WikiLeaks ha subito durante la sua detenzione e sul potenziale effetto dissuasivo per giornalisti ed editori, costretti spesso all’autocensura per evitare persecuzioni simili. “Se l’Europa vuole avere un futuro in cui la libertà di parola e la libertà di pubblicare la verità non siano privilegi riservati a pochi ma diritti garantiti a tutti, allora deve agire in modo che ciò che è accaduto nel mio caso non accada mai a nessun altro”, ha aggiunto Assange. Ha chiesto un’azione decisa per garantire che “la luce della libertà non si affievolisca mai, che la ricerca della verità continui a vivere e che le voci di molti non vengano messe a tacere dagli interessi di pochi”. La testimonianza di Assange ha inoltre evidenziato come il patteggiamento con il governo degli Stati Uniti gli impedisca di appellarsi alla Corte europea per i diritti dell’uomo o di invocare la legge sulla libertà di informazione. “Ora la giustizia per me è preclusa poiché il governo degli Stati Uniti ha insistito per iscritto nel suo patteggiamento che non posso presentare un caso alla Corte europea per i diritti dell’uomo o anche una richiesta di legge sulla libertà di informazione per ciò che mi è stato fatto a seguito della richiesta di estradizione”. Assange ha anche espresso preoccupazione per le future conseguenze del suo caso. “Gli europei devono obbedire alla legge sullo spionaggio degli Stati Uniti”, ha detto, sottolineando come la sua situazione abbia aperto la porta alla possibilità che qualsiasi grande Stato possa perseguire giornalisti in Europa. Ha ribadito che se le cose non cambieranno, quanto accaduto a lui potrebbe ripetersi con altri giornalisti. Nel suo discorso, Assange ha chiarito che il giornalismo non dovrebbe mai essere criminalizzato. “La questione fondamentale è semplice: i giornalisti non dovrebbero essere perseguiti per aver svolto il loro lavoro. Il giornalismo non è un crimine. È un pilastro di una società libera e informata”, ha affermato con fermezza. La sua testimonianza si è conclusa con un’amara riflessione sulle dinamiche del potere e della giustizia: “La mia ingenuità è stata credere nella legge. Quando si arriva al dunque, le leggi sono solo pezzi di carta e possono essere reinterpretate per convenienza politica”, ha detto, rispondendo alle domande dei parlamentari del Consiglio d’Europa. Ha osservato che negli Stati Uniti, un potere come l’intelligence può spingere per una reinterpretazione delle leggi, mettendo in pericolo la libertà di informazione.
Israele uccide la conduttrice Safaa Ahmad a Damasco

Tre civili, tra cui la conduttrice televisiva Safaa Ahmad, sono stati uccisi in un attacco israeliano a Damasco. Lo riferisce la Syrian Arab News Agency (SANA). La “General Authority for Radio and Television” ha dichiarato di “piangere la stimata conduttrice Safaa Ahmad come martire in seguito alla perfida aggressione israeliana contro la capitale, Damasco”. Le circostanze precise della sua morte non sono ancora del tutto chiare, ma immagini pubblicate sui social media mostrano una vettura in fiamme in una zona residenziale della città. Non è stato confermato se la giornalista fosse tra le tre vittime civili menzionate dai media locali. Gli attacchi a Damasco arrivano in contemporanea a una significativa offensiva di Israele nel sud del Libano, contro il gruppo armato Hezbollah. Secondo le autorità libanesi, almeno 95 persone sono state uccise e altre 172 ferite in una serie di raid israeliani iniziati lunedì. Il vice leader di Hezbollah, Naim Qassem, ha dichiarato in un videomessaggio che il gruppo è pronto a contrastare un’eventuale invasione terrestre da parte di Israele. “Vinceremo, proprio come abbiamo fatto nel 2006,” ha affermato Qassem, riferendosi al conflitto tra Israele e Hezbollah di quell’anno. La crescente intensità dei combattimenti in Libano e Siria ha alimentato preoccupazioni a livello internazionale. Molti osservatori temono che la guerra a Gaza, in corso da settimane, possa estendersi ad altri Paesi della regione, creando un conflitto su scala più ampia. In risposta agli attacchi, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, ha chiesto un cessate il fuoco immediato in Libano, ma il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha respinto qualsiasi proposta di tregua con Hezbollah. Durante un incontro con la stampa all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, Netanyahu ha ribadito la determinazione del suo governo a proseguire l’offensiva contro il gruppo armato. “Non ci fermeremo finché non avremo raggiunto tutti i nostri obiettivi”, ha dichiarato, sottolineando la volontà di garantire la sicurezza dei residenti del nord di Israele. Nel frattempo, il conflitto tra Israele e Hamas si intensifica su più fronti. Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno dichiarato di aver iniziato una nuova operazione di terra nel sud del Libano, mirata contro obiettivi di Hezbollah. Questa azione coinvolge anche artiglieria e forze aeree. In Italia, la premier Giorgia Meloni ha ribadito l’importanza della sicurezza dei civili e dei militari impegnati nelle missioni internazionali, mentre il ministro della Difesa Guido Crosetto ha assicurato che i militari italiani operanti nella regione, inclusi quelli di UNIFIL, sono stati messi al sicuro nei bunker.
Weekly Evening Standard cambia nome in “The London Standard”

Il Weekly Evening Standard sta per subire una trasformazione significativa: da giovedì 26 settembre, il giornale assumerà il nuovo nome di The London Standard e verrà distribuito settimanalmente. Questo cambiamento segna la conclusione dell’attuale versione dell’Evening Standard, con l’ultima edizione in uscita giovedì 19 settembre. L’Evening Standard, che in passato era un quotidiano gratuito, aveva già ridotto il proprio programma di pubblicazione, distribuendo le copie da martedì a giovedì ogni settimana. Il direttore generale ad interim, Paul Kanareck, ha comunicato al personale, come riportato su Press Gazette, che l’ultima edizione dell’attuale ES Magazine sarà distribuita il 12 settembre. Precedentemente, era stato annunciato che l’azienda avrebbe “considerato opzioni per mantenere ES Magazine con una frequenza ridotta”. Nel mese di maggio, l’Evening Standard aveva annunciato la transizione da una pubblicazione quotidiana a una settimanale come parte di una strategia di digitalizzazione. Questo cambiamento è stato motivato da “settimane di pendolarismo più brevi, Wi-Fi diffuso lungo i nostri percorsi di viaggio e il desiderio dei nostri lettori di consumare contenuti sempre più ricchi su una varietà di piattaforme e dispositivi“. Kanareck ha dichiarato che la consultazione con il personale riguardante i licenziamenti, che avrebbe ridotto circa la metà dei posti di lavoro editoriali, è ora “sostanzialmente conclusa”. Il personale aveva precedentemente espresso “un ampio disappunto” riguardo alle condizioni offerte per i licenziamenti. Kanareck ha sottolineato che i cambiamenti hanno comportato una “significativa ristrutturazione delle operazioni” e ha ringraziato il personale per il continuo impegno durante questo periodo difficile. “Come evidenziato in precedenza, rafforzeremo la nostra attenzione sulle nostre piattaforme digitali e ciò sarà supportato dal lancio di un settimanale che celebra il meglio che Londra ha da offrire, dalle guide all’intrattenimento allo stile di vita, allo sport, alla cultura, alla politica, alle notizie e al ritmo della vita nella più grande città del mondo”, ha aggiunto Kanareck. “La nostra attenzione ora si sposterà sulla collaborazione con il team per stabilire una cultura e un modello operativo fondamentalmente nuovi con obiettivi chiari e condivisi.” Il personale si riunirà il mese prossimo per discutere la strategia e la visione per il digitale e il nuovo giornale settimanale. Kanareck ha anche ringraziato “tutti i nostri collaboratori che lasciano l’azienda a causa di questi cambiamenti per la loro dedizione e duro lavoro nel corso degli anni”. Ha sottolineato l’apprezzamento per il “giornalismo di qualità, le campagne pubblicitarie premiate e la determinazione di pubblicare e distribuire l’Evening Standard e ES Magazine, spesso in circostanze difficili e senza precedenti. Vi auguriamo tutto il meglio per il futuro.” I conti dell’azienda pubblicati l’anno scorso hanno mostrato un aumento del 14% delle perdite, segnando il sesto anno consecutivo di perdite. Nel mese di luglio, prima della riduzione dei giorni di distribuzione, l’Evening Standard distribuiva in media 276.885 copie al giorno, rispetto alle 787.447 copie distribuite giornalmente pre-Covid, a febbraio 2020. ES Magazine aveva una distribuzione media settimanale di 181.312 copie nella prima metà dell’anno.
Repubblica si ferma: giornalisti in sciopero contro l’editore

L’assemblea delle giornaliste e dei giornalisti di Repubblica ha indetto uno sciopero di due giorni – 25 e 26 settembre – per protestare contro le gravi ingerenze nell’attività giornalistica da parte dell’editore, delle aziende a lui riconducibili e di altri soggetti privati, avvenuti in occasione dell’evento Italian Tech Week. La redazione denuncia da tempo i tentativi di “piegare colleghe e colleghi a pratiche lontane da una corretta deontologia e dall’osservanza del contratto nazionale”. La direzione, secondo l’assemblea, ha il dovere di apportare “ogni correttivo e presidio possibile per rafforzare le strutture di protezione della confezione giornalistica di tutti i contenuti di Repubblica”, sottolineando che nei mesi scorsi è già stata votata una sfiducia all’attuale direttore. Il messaggio si rivolge anche all’editore John Elkann, invitato a “profondo rispetto della nostra dignità di professionisti e del valore del nostro giornale”. La testata, ricordano, ha una propria storia e identità che non può essere calpestata: “La democrazia che ogni giorno difendiamo sulle nostre pagine passa anche dal reciproco rispetto dei ruoli sul posto di lavoro”. Un appello è stato fatto anche alle lettrici e ai lettori, dichiarando: “Questa redazione non ha mai venduto l’anima. E non sarà mai disposta a farlo”. Parallelamente, l’assemblea delle giornaliste e dei giornalisti di Gedi Visual, che si occupano di video, dirette, podcast e contenuti social del gruppo, ha espresso piena solidarietà ai colleghi di Repubblica, schierandosi contro le “gravi ingerenze nell’attività giornalistica da parte dell’editore” e chiedendo alla direzione di vigilare su “ogni tipo di ingerenza che metta a rischio l’indipendenza del lavoro giornalistico”. Nel frattempo, lo sciopero è in corso e sul sito di Repubblica campeggia la scritta che ne dà notizia, annunciando che fino alle 23:59 di domani non ci saranno aggiornamenti. Tuttavia, l’evento organizzato da Exor viene trasmesso regolarmente. Secondo quanto riportato da ilFattoQuotidiano.it, la ragione dello sciopero è che la holding di John Elkann avrebbe “venduto articoli e interviste alle aziende che partecipano alla Italian Tech Week di Torino,” senza informarne i giornalisti né i lettori. Questa mattina, nonostante lo sciopero, sul sito di Repubblica è apparsa a sorpresa la diretta dell’evento. “Il Comitato di redazione denuncia pubblicamente il tentativo dei vertici della testata di aggirare lo sciopero,” recita una nota diffusa dal cdr. “Abbiamo allertato le associazioni di categoria affinché valutino l’apertura di un procedimento antisindacale”. Oggi, oltre alla proprietà, è il direttore Maurizio Molinari a essere oggetto della rabbia dei giornalisti, in un contesto che mette in discussione la credibilità e l’indipendenza del giornale.
Arnault e la lista nera dei media: protestano giornalisti francesi

Una lettera inviata a gennaio dal magnate Bernard Arnault, proprietario del colosso del lusso LVMH, ha scatenato una forte mobilitazione tra i giornalisti francesi. Nella presunta missiva, Arnault avrebbe stilato una “blacklist” di sette testate con cui i suoi dirigenti non devono avere rapporti, pena il licenziamento. La rivelazione ha sollevato polemiche e portato alla protesta di oltre quaranta associazioni di giornalisti e redazioni. Secondo quanto riportato da La Lettre, una delle testate coinvolte, la “blacklist” include i media La Lettre, Glitz.paris, Miss Tweed, L’Informé, Puck (sito americano), Mediapart, e il settimanale satirico Le Canard enchaîné. Arnault avrebbe definito “intollerabile” la violazione del divieto di parlare con queste testate, considerandola una grave “mancanza di lealtà”. La maggior parte delle testate nella lista nera ha scelto un modello di business indipendente, senza il supporto pubblicitario dei grandi inserzionisti o il coinvolgimento in eventi aziendali. Questa indipendenza, secondo La Lettre, priva LVMH di mezzi di pressione tradizionali, rendendo questi media più liberi di fare inchiesta e critica nei confronti del colosso del lusso. La protesta contro questa presunta lista nera ha ottenuto un vasto supporto nel mondo giornalistico francese. Una quarantina di associazioni e redazioni, tra cui Le Monde, Libération, Le Figaro, France Télévisions, TF1, Radio France e l’agenzia AFP, hanno espresso solidarietà alle testate coinvolte. In una nota, i firmatari ricordano che “la missione della stampa non è quella di rilanciare la comunicazione ufficiale delle imprese e delle istituzioni, ma di informare“, sottolineando come questo sia uno dei pilastri fondamentali della democrazia. Nonostante il clamore suscitato dalla vicenda, da LVMH non è arrivata alcuna smentita ufficiale. Tuttavia, la vicenda continua a sollevare interrogativi sulla libertà di stampa in Francia e sul potere che i grandi gruppi economici possono esercitare sui media, specie quelli indipendenti.
Israele chiude Al Jazeera in Cisgiordania per 45 giorni

Nelle prime ore di domenica, soldati israeliani hanno fatto irruzione negli studi di Al Jazeera a Ramallah, nella Cisgiordania, imponendo al direttore Walid al-Omari di sospendere le trasmissioni per un periodo di 45 giorni. La stessa emittente qatariota ha riportato l’evento, sottolineando come non siano state fornite spiegazioni ufficiali dalle forze israeliane per l’ordine di chiusura. Il governo di Benjamin Netanyahu da tempo critica duramente Al Jazeera, considerandola uno strumento di propaganda della causa palestinese e del gruppo radicale Hamas, contro cui Israele sta combattendo un conflitto prolungato nella Striscia di Gaza. Al Jazeera è uno dei pochi media internazionali ancora operativi nella Striscia di Gaza, territorio in cui Israele ha lanciato un’invasione a partire da ottobre, provocando la morte di decine di migliaia di palestinesi. Anche la Cisgiordania, governata con autonomia limitata dai palestinesi, è sottoposta a un crescente controllo da parte di Israele. L’irruzione negli uffici di Ramallah segue una legislazione approvata dal parlamento israeliano ad aprile, che consente la chiusura dei media ritenuti pericolosi per la sicurezza del Paese. A maggio, una legge specifica ha stabilito la chiusura di Al Jazeera in Israele, rendendo inaccessibili le sue trasmissioni televisive e i suoi siti web. Ogni 45 giorni, il governo israeliano è chiamato a rinnovare questa misura. Nel frattempo, nella giornata di domenica, l’esercito israeliano ha colpito circa 290 obiettivi nel Libano meridionale, tra cui installazioni militari di Hezbollah, in risposta al lancio di oltre 100 razzi dal territorio libanese. Hezbollah ha affermato di aver attaccato impianti industriali militari nel nord di Israele come ritorsione per recenti esplosioni che hanno causato decine di morti e feriti. La situazione in Libano è tesa al punto che l’Ambasciata americana ha elevato al massimo il livello d’allerta, sconsigliando qualsiasi viaggio nel Paese ai cittadini statunitensi. Al Jazeera, che ha subito la chiusura forzata dei suoi uffici, sta già preparando una risposta legale per contestare la decisione nelle sedi giudiziarie.
Il Guardian cede l’Observer: Tortoise Media pronta all’acquisto

Il Guardian ha ufficialmente annunciato la decisione di mettere in vendita l’Observer, la storica testata domenicale che vanta il primato di essere il più antico giornale domenicale del mondo, fondato nel 1791. Nel 1993, l’Observer è stato accorpato al Guardian, entrando a far parte della grande famiglia editoriale del Guardian Media Group (Gmg). Ora, però, è oggetto di trattative formali con Tortoise Media, un sito di informazione e approfondimenti nato nel 2019, grazie all’iniziativa di James Harding, ex direttore della BBC, e di Matthew Barzun, ex ambasciatore degli Stati Uniti nel Regno Unito. OFFERTA SIGNIFICATIVA Sebbene i dettagli economici delle trattative non siano stati resi noti, fonti come Sky Uk riportano che Tortoise Media sarebbe disposta a investire 25 milioni di sterline nel corso dei primi cinque anni di proprietà dell’Observer. Questa cifra rappresenta un investimento considerevole, anche se rimangono da definire i termini finali dell’accordo. L’offerta ricevuta dal Guardian Media Group è stata descritta come “sufficientemente importante” per essere presa in seria considerazione, con l’obiettivo di preservare il futuro del quotidiano principale del gruppo, il Guardian stesso. Secondo quanto riportato sul sito del Guardian, la vendita dell’Observer potrebbe fornire al gruppo editoriale la possibilità di rafforzare la sua strategia di crescita, concentrandosi sull’internazionalizzazione e sulla digitalizzazione. Anne Bateson, direttrice generale di Gmg, ha infatti sottolineato che l’obiettivo è rendere il Guardian sempre più internazionale, digitale e finanziato dai propri lettori, piuttosto che da inserzionisti o altre fonti esterne. L’ESPANSIONE DI TORTOISE MEDIA Fondata nel 2019, Tortoise Media si distingue per un modello di giornalismo lento e approfondito, che cerca di fornire un’analisi più riflessiva e dettagliata rispetto alla copertura frenetica di notizie e aggiornamenti in tempo reale. La sua missione è quella di fornire al pubblico una comprensione più profonda delle questioni complesse, piuttosto che bombardare i lettori con breaking news. Grazie alla guida di James Harding, ex direttore della sezione news della BBC, e all’esperienza diplomatica di Matthew Barzun, la piattaforma ha rapidamente guadagnato attenzione nel panorama dei media britannici. L’acquisizione dell’Observer rappresenterebbe un passo importante nell’espansione di Tortoise Media, aumentando la sua presenza e influenza nel settore della stampa tradizionale. PROFONDA RIORGANIZZAZIONE Questa potenziale acquisizione si inserisce in un contesto di profonda riorganizzazione nel settore dei media britannici, segnato da una crisi che sta colpendo i giornali cartacei a livello globale. Nonostante il Regno Unito abbia mantenuto tirature superiori rispetto ad altri Paesi, inclusa l’Italia, i giornali britannici stanno affrontando le stesse difficoltà legate al calo della domanda di stampa tradizionale. Già in passato si sono registrate operazioni simili: il Times e il Sunday Times sono stati acquistati da Rupert Murdoch, consolidando la sua posizione di potere nel panorama editoriale britannico. Più recentemente, è stata annunciata la vendita del Telegraph e del Sunday Telegraph a causa di debiti, testate che sono entrate nel mirino di investitori stranieri, come il fondo di Abu Dhabi in partnership con RedBird, società americana. Anche lo Spectator, il settimanale di orientamento conservatore, è stato messo sul mercato. Queste operazioni dimostrano come il mondo della stampa britannica stia attraversando un periodo di ristrutturazioni e ridimensionamenti, cercando di adattarsi alla nuova realtà digitale e alla riduzione delle vendite di copie cartacee. IL FUTURO DELL’OBSERVER La vendita dell’Observer potrebbe segnare la fine di un’era, ma allo stesso tempo rappresentare un’opportunità di rinnovamento per la testata. Con l’entrata in gioco di Tortoise Media, ci si aspetta che l’Observer possa evolversi mantenendo la sua tradizione di giornalismo autorevole e di qualità, ma con una maggiore attenzione ai formati digitali e alle nuove modalità di fruizione dell’informazione.
Il New York Times riapre il suo ufficio in Vietnam

Il New York Times ha ufficialmente ristabilito il suo ufficio in Vietnam, un evento che segna un momento significativo nella crescente importanza del paese nel panorama economico e politico regionale. L’annuncio è stato fatto durante una cerimonia formale ad Hanoi, dove il Ministero degli Affari Esteri ha concesso al prestigioso quotidiano la sua licenza operativa. All’evento, il vice ministro degli Affari Esteri Lê Thị Thu Hằng ha enfatizzato il ruolo cruciale che l’ufficio avrà non solo per il giornalismo, ma anche per migliorare la comprensione globale del rapido sviluppo del Vietnam. “L’istituzione di un ufficio faciliterà il lavoro giornalistico del New York Times in Vietnam e fornirà una vivida copertura del paese e della regione”, ha dichiarato Hằng. La riapertura dell’ufficio giunge in un momento particolarmente significativo, con il Vietnam e gli Stati Uniti che si preparano a celebrare il primo anniversario della loro Comprehensive Strategic Partnership e tre decenni di relazioni diplomatiche nel 2025. Questa mossa sottolinea l’importanza crescente del Vietnam sulla scena internazionale e il suo ruolo strategico nel contesto globale. Damien Cave, il nuovo capo dell’ufficio del New York Times in Vietnam, ha espresso il suo entusiasmo per il nuovo incarico. Cave ha sottolineato l’importanza crescente del Vietnam negli affari internazionali, affermando: “Il Vietnam sta acquisendo un ruolo più alto e importante nello spazio internazionale”. Ha aggiunto che la missione dell’ufficio sarà focalizzata sul raccontare la storia di un Vietnam in rapido cambiamento, in particolare nel contesto dei suoi crescenti legami con gli Stati Uniti, oltre mezzo secolo dopo la fine della guerra. In una dichiarazione ufficiale, il New York Times ha ribadito il suo impegno nel coprire l’ascesa dell’Asia come attore chiave sulla scena globale. “Siamo entusiasti di annunciare che stiamo ricostituendo un ufficio in Vietnam e che Damien Cave assumerà l’entusiasmante missione di guidarlo”, ha affermato il quotidiano. “Il ritorno del Times in Vietnam è un segno dell’ascesa dell’Asia come importante centro di potere economico e politico. È anche una testimonianza dell’impegno dell’International desk nell’espandere la copertura globale e rafforzare il giornalismo indipendente in tutto il mondo”.
Meta blocca Russia Today per interferenze elettorali

Meta ha adottato misure drastiche contro i media statali russi, bloccandoli su tutte le sue piattaforme, tra cui Facebook, Instagram e WhatsApp. La decisione, presa lunedì, ha colpito principalmente RT (precedentemente Russia Today) e Rossiya Segodnya, due dei principali canali di comunicazione del governo russo. Secondo Meta, queste entità sono state coinvolte in operazioni di “interferenza” politica, accusate di sostenere indirettamente il governo russo. Prima del blocco, RT contava 7,2 milioni di follower su Facebook e 1 milione su Instagram. Da lunedì, le loro pagine non sono più accessibili. Anche se Meta non ha fornito dettagli precisi sulle interferenze specifiche, il contesto suggerisce che il provvedimento sia collegato alle elezioni presidenziali statunitensi del prossimo novembre. Recentemente, il governo degli Stati Uniti ha accusato la Russia di aver orchestrato una campagna di disinformazione sui social media per sostenere la candidatura di Donald Trump, più favorevole rispetto alla democratica Kamala Harris, che sostiene con più convinzione l’Ucraina nella guerra contro la Russia. L’amministrazione statunitense ha reagito con una serie di azioni coordinate tra i Dipartimenti di Giustizia, Stato e Tesoro. Il procuratore generale Merrick Garland ha accusato RT di aver finanziato un’azienda statunitense con 10 milioni di dollari per produrre video a favore del governo russo e della sua guerra in Ucraina. L’azienda coinvolta, forse Tenet Media, avrebbe omesso di dichiarare di essere finanziata da RT. Non è la prima volta che la Russia viene accusata di tentare di influenzare le elezioni statunitensi. Già nel 2016, durante la vittoria di Trump su Hillary Clinton, la Internet Research Agency (IRA) russa era stata accusata di condurre una vasta campagna di disinformazione. Meta, all’epoca, era stata criticata per aver consentito la diffusione di fake news, e da allora ha implementato misure per limitare la presenza di contenuti russi sulle sue piattaforme. La decisione di Meta di bandire i media russi arriva poco dopo le dichiarazioni del segretario di Stato americano, Antony Blinken, che ha definito Russia Today un “braccio de facto” dell’intelligence russa, sottolineando l’importanza di contrastare le attività destabilizzanti di Mosca.