Il Tribunale di Torino ha condannato Meta, società madre di Facebook, al pagamento di 151.000 euro per violazione del diritto d’autore, accertando la diffusione non autorizzata di 54 fotografie realizzate dal fotoreporter Gianni Minischetti alla giornalista Oriana Fallaci. Le immagini, pubblicate e condivise migliaia di volte sulla piattaforma, erano state più volte segnalate senza che venisse effettuata la loro rimozione. Secondo i giudici, Facebook ha tratto profitto dall’illecita circolazione dei contenuti, ospitati sui propri server e rilanciati dagli utenti in modo virale.
La sentenza arriva dopo un procedimento avviato dal fotografo, che si è affidato agli avvocati Giovanni Manganaro, Nicola Gianaria, Fabrizio Lala ed Enrico Chiarello, contestando la mancata tutela delle proprie opere. Tra le fotografie oggetto del giudizio figura anche il celebre scatto di Oriana Fallaci con le Torri Gemelle sullo sfondo, utilizzato in rete anche a scopi satirici, celebrativi e critici. In totale, la diffusione documentata ha superato le 1.045 condivisioni dal 2022, ma l’autore sostiene che il fenomeno sia attivo da oltre un decennio: “Io è dal 2013 che gli segnalo il problema con lettere dagli avvocati e diffide”, ha dichiarato Minischetti. “C’è addirittura una mail in risposta da Facebook dove dicono ‘siamo prontamente a rimuoverle’. Dopodiché non si sono più fatti sentire”.
La linea difensiva di Meta ha sostenuto che gli utenti abbiano agito senza scopo di lucro, invocando libertà di espressione e diritto di cronaca. Per estensione, l’azienda ha negato di aver ottenuto vantaggi economici dalla condivisione, posizione contestata dalla parte attrice. “Dire che la partecipazione dell’utente non sia fonte di diretto guadagno per Meta è un falso storico”, ha commentato l’avvocato Manganaro. La profilazione dei dati, le interazioni elevate e la conseguente monetizzazione con gli inserzionisti pubblicitari rappresentano, secondo i legali, prove indirette dei benefici economici ricavati dalla piattaforma.
Nel 2021, il Consiglio di Stato ha già sanzionato Meta per aver promosso servizi “gratuiti” senza indicare chiaramente che i dati degli utenti venivano sfruttati a fini commerciali. Sul fronte fiscale, la Procura di Milano ha aperto un’indagine contro Meta per un’evasione stimata in 4 miliardi di euro, legata proprio alla monetizzazione indiretta dei servizi digitali.
Il tribunale ha inoltre stabilito che Facebook, in qualità di fornitore di servizi, ha l’obbligo – secondo la direttiva sul commercio elettronico – di eliminare tempestivamente i contenuti illeciti una volta segnalati. In questo caso, la rimozione è avvenuta solo dopo l’avvio del processo e come “atto di prudenza”. La sentenza impone ora il divieto assoluto di caricamento o condivisione delle fotografie in questione; in caso di violazione, è prevista una sanzione di 100 euro per ogni giorno di permanenza dei contenuti online.
Nel corso del dibattimento, è emerso che alcune immagini risultano ancora attive. “Sostengono che servono agli utenti per socializzare tra di loro. Con le mie fotografie devono socializzare?”, ha dichiarato Minischetti, criticando la deturpazione dei suoi lavori: “Le hanno tutte storpiate, tagliate, gli hanno aggiunto delle scritte ignobili. Un massacro totale. E alla fine chi ci ha guadagnato? Meta”.
La sentenza si inserisce in un contesto europeo complesso, in cui le Big Tech stanno esercitando pressioni politiche per evitare l’introduzione della cosiddetta digital tax e l’applicazione delle normative del GDPR e dell’AI Act. Secondo i legali, il verdetto italiano rappresenta un precedente significativo, dal momento che storicamente le multinazionali preferiscono risolvere simili controversie tramite accordi extragiudiziali. “Mette i server provider in uno stato di maggiore attenzione”, ha dichiarato Manganaro, sottolineando che “non basta più dire ‘lo ha caricato qualcun altro’”.
Al momento, Meta non ha impugnato la sentenza né ha annunciato ricorso. Il caso potrebbe dunque costituire una base per azioni legali analoghe da parte di altri autori, rilanciando il dibattito sulla tutela del diritto d’autore nel digitale.