Secolo XIX in agitazione: la redazione non accetta compromessi

La redazione genovese del Secolo XIX

Una decisione senza precedenti scuote il mondo dell’informazione locale e nazionale: i giornalisti del Secolo XIX, storico quotidiano genovese, hanno proclamato uno sciopero che vedrà il giornale assente dalle edicole sabato 23 marzo e il sito web non aggiornato il giorno precedente. Questo gesto di protesta è stato votato all’unanimità durante un’assemblea dei redattori, dopo che la redazione aveva già manifestato uno stato di agitazione e affidato al Comitato di Redazione (Cdr) un pacchetto di cinque giorni di sciopero. La causa di questa rivolta è l’assenza di chiarezza da parte dell’azienda editoriale, il gruppo Gedi, riguardo alle voci sempre più insistenti di una possibile vendita del Decimonono, nome con cui è affettuosamente conosciuto il Secolo XIX. Nonostante le richieste formali e reiterate della rappresentanza sindacale, l’azienda non ha fornito alcuna risposta in merito, lasciando i giornalisti nell’incertezza più totale sul futuro del giornale. Ma non è tutto: il gruppo Gedi non ha presentato alcun piano di investimenti per il Secolo XIX, sia nella sua versione cartacea che digitale, nonostante i ripetuti solleciti da parte della redazione. Questo silenzio da parte dell’editore è stato definito “inaccettabile” dalla redazione del giornale, che ha sottolineato come tale atteggiamento rappresenti una mancanza di rispetto nei confronti dei giornalisti, dei lettori e della lunga storia del quotidiano, consolidato nel tempo come punto di riferimento nell’informazione regionale e nazionale. I giornalisti del Secolo XIX hanno ribadito la loro determinazione nel difendere l’indipendenza e l’autonomia della testata, dichiarando che continueranno a lottare per ottenere risposte concrete alle loro richieste. Hanno inoltre messo in guardia l’editore, sottolineando che qualora il gruppo Gedi decidesse di cedere la proprietà del giornale, la redazione non accetterà soluzioni che vadano a compromettere l’integrità e la storia del Secolo XIX. Il messaggio è chiaro: il quotidiano non è in vendita e non sarà sacrificato a interessi di basso cabotaggio. La segretaria generale della Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI), Alessandra Costante, ha sottolineato l’importanza di ascoltare le richieste di investimento provenienti dalla redazione del Secolo XIX, che ha manifestato la volontà di rilanciare la testata. Costante ha espresso preoccupazione riguardo alle voci di possibili acquirenti, ribadendo che il giornale merita di essere gestito da editori capaci di garantire il pluralismo e la solidità economica di Gedi. Anche l’Associazione Ligure dei Giornalisti, il Gruppo Cronisti Liguri e l’Ordine dei Giornalisti della Liguria hanno espresso pieno sostegno e massima vicinanza alla protesta dei colleghi del Secolo XIX. In una nota congiunta, queste organizzazioni hanno unito le proprie voci alle istanze del Cdr, chiedendo chiarezza all’azienda sul futuro del giornale e confermando il loro impegno a sostenere i lavoratori del giornale in ogni azione intrapresa per la salvaguardia della testata.

Donne nei media: la sfida della leadership editoriale nel 2024

Women and leadership in the news media 2024: Evidence from 12 markets

Una nuova ricerca condotta dal Reuters Institute, intitolata “Women and leadership in the news media 2024: Evidence from 12 markets“, ha portato alla luce dati sorprendenti riguardanti la presenza femminile nei ruoli editoriali chiave all’interno delle principali testate giornalistiche. Il risultato più rilevante? Le donne occupano solo il 24% di tali posizioni. Questo studio ha esaminato da vicino i dati provenienti da 240 testate giornalistiche online e offline distribuite in 12 Paesi, tra cui Stati Uniti, Gran Bretagna, Finlandia, Sudafrica, Germania, Hong Kong, Spagna, Brasile, Corea del Sud, Kenya, Messico e Giappone. Curiosamente, in alcuni di questi Paesi, le donne superano numericamente gli uomini tra i giornalisti impiegati. Tuttavia, nonostante questa maggioranza, la stragrande maggioranza dei ruoli di vertice rimane saldamente nelle mani degli uomini. Inoltre, negli ultimi cinque anni, la percentuale di donne tra i caporedattori è aumentata di appena il 2%, passando dal 23% al 25% nel 2024. Secondo quanto riportato sul sito web del Reuters Institute, “La debole correlazione positiva – si legge sul sito web del Reuters Institute – tra la percentuale di donne che lavorano come giornaliste e la percentuale di donne tra i caporedattori, e l’assenza di una correlazione tra la parità di genere complessiva nella società e la percentuale di donne tra i caporedattori, continua a sottolineare che ci sono dinamiche specifiche in gioco nel giornalismo e nei mezzi di informazione in termini di progressione di carriera. La questione qui non è “solo” esterna e sociale. È anche interna alla professione e all’industria”. L’analisi della ricerca getta luce anche sul futuro, con una proiezione che indica la possibilità di raggiungere la parità di genere nelle posizioni editoriali di vertice solo entro il 2074, se i cambiamenti continueranno al ritmo attuale. Una prospettiva più cauta suggerisce addirittura che, dati i ritmi di cambiamento attuali, la parità di genere tra i principali editori dei mezzi di informazione potrebbe non essere mai raggiunta.   Per ulteriori approfondimenti, consultare il seguente link.      

Il futuro del Telegraph: un dibattito infuocato

Telegraph

Il panorama mediatico britannico è stato scosso da una serie di sviluppi che hanno generato un acceso dibattito politico sulla direzione futura del Telegraph, uno dei gruppi editoriali più storici e influenti del Regno Unito. La ministra della Cultura britannica, Lucy Frazer, figura centrale in questa controversia, ha recentemente annunciato l’intenzione di avviare un’indagine dettagliata sull’offerta di acquisizione del Telegraph da parte di una cordata arabo-americana, capitanata dal fondo statale di Abu Dhabi con il supporto di RedBird. Questo annuncio segue da vicino la mossa dell’esecutivo conservatore guidato da Rishi Sunak, che ha proposto modifiche legislative volte a limitare l’influenza straniera sui media britannici. L’intento dichiarato è quello di preservare l’indipendenza e la libertà dei media nel Regno Unito, impedendo a stati esteri di possedere o controllare testate giornalistiche o organi d’informazione britannici. Le preoccupazioni del governo britannico riguardano principalmente l’eventuale cessione delle testate Telegraph, conosciute per la loro vicinanza al partito conservatore, tra cui il “Daily Telegraph”, il “Sunday Telegraph” e il settimanale “Spectator”. Si teme che tale transazione possa compromettere l’interesse pubblico e minacciare l’indipendenza dei media nel paese. La ministra Frazer ha espresso queste preoccupazioni in una comunicazione ufficiale al Parlamento, evidenziando il fatto che anche l’Autorità di Vigilanza sui Media, Ofcom, ha sollevato simili timori riguardo alla potenziale acquisizione del Telegraph. L’indagine proposta rappresenta un importante passo per garantire che le decisioni riguardanti l’assetto proprietario dei media britannici siano prese nel rispetto dei principi democratici e della libertà di stampa. Tuttavia, il dibattito è destinato a continuare, poiché si confrontano gli interessi economici, politici e sociali legati al futuro del Telegraph e, più in generale, al ruolo dei media nella società contemporanea. Resta da vedere quale sarà l’esito di questa controversia e quale impatto avrà sul panorama mediatico britannico nel lungo termine.

Maurizio Molinari e il dialogo interrotto: contestazioni a Napoli

Maurizio Molinari

L’incontro programmato per il 15 marzo 2024 tra il direttore di Repubblica, Maurizio Molinari, e gli studenti dell’Università Federico II di Napoli è stato annullato a causa delle manifestazioni di alcuni dimostranti. I protestanti, con striscioni e slogan a favore della Palestina, hanno impedito lo svolgimento della presentazione del libro di Molinari “Mediterraneo conteso – Perché l’Occidente e i suoi rivali ne hanno bisogno”, previsto presso la Facoltà di Ingegneria dell’ateneo partenopeo. Mezz’ora prima dell’inizio, un gruppo di contestatori ha presidiato l’aula impedendo l’accesso ai relatori. In accordo con il personale della Digos e il rettore Lorito, Molinari ha deciso di rinunciare all’incontro per garantire la sicurezza degli studenti e prevenire disordini. Il presidente Sergio Mattarella ha espresso solidarietà a Molinari, condannando l’intolleranza e sottolineando che essa è incompatibile con l’ambiente universitario. La Federazione nazionale della Stampa italiana ha anch’essa espresso solidarietà a Molinari, condannando l’atteggiamento dei contestatori e definendolo fascista. In una nota, il Cdr di Repubblica “condanna la contestazione di cui è stato oggetto il direttore Maurizio Molinari. L’intolleranza non appartiene a una democrazia compiuta, così come non si può impedire la libera discussione di idee e punti di vista diversi”.

Via libera al Media Freedom Act

Commissione UE

Il Parlamento europeo ha dato il suo definitivo via libera al Media Freedom Act, una legge che promette di rafforzare la libertà dei media nell’Unione Europea e di proteggere giornalisti e organi di informazione da interferenze politiche o economiche. Con un ampio margine di voti favorevoli, il nuovo regolamento si configura come un baluardo contro le minacce alla libertà di stampa che si sono manifestate in vari contesti europei. L’approvazione avvenuta con 464 voti a favore, 92 contrari e 65 astensioni, sottolinea l’ampio consenso raggiunto in merito alla necessità di tutelare l’indipendenza dei media e di contrastare qualsiasi forma di ingerenza nelle decisioni editoriali. Questo importante passo legislativo si pone come un chiaro segnale dell’impegno dell’Unione Europea nel difendere i valori fondamentali della democrazia e della libertà di espressione. Cosa prevede la nuova legge Una delle principali novità introdotte dal Media Freedom Act è il divieto per le autorità di ricorrere a metodi coercitivi per pressare giornalisti e responsabili editoriali al fine di svelare le loro fonti. Questo include il vietato di arresti, sanzioni, perquisizioni e l’uso di software di sorveglianza intrusivi installati sui dispositivi elettronici. Inoltre, l’uso di software spia sarà consentito solo in casi eccezionali e previa autorizzazione di un’autorità giudiziaria in indagini su reati gravi, con l’obbligo di informare le persone coinvolte e garantire loro il diritto di contestare in tribunale. Una particolare attenzione è rivolta all’indipendenza editoriale dei media pubblici, per evitare che questi vengano strumentalizzati a fini politici. Il Media Freedom Act prevede che i dirigenti e i membri del consiglio di amministrazione dei media pubblici siano selezionati attraverso procedure trasparenti e non discriminatorie, con mandati sufficientemente lunghi e licenziamenti consentiti solo in casi di mancanza di requisiti professionali. La trasparenza della proprietà dei media è un altro punto chiave della legge, che richiede a tutte le testate giornalistiche di pubblicare informazioni sui relativi proprietari in una banca dati nazionale, indicando se sono di proprietà diretta o indiretta dello Stato. Questo garantisce al pubblico la conoscenza di chi controlla i media e di quali interessi possano celarsi dietro la loro proprietà. Il Media Freedom Act impone anche una ripartizione equa della pubblicità statale, con l’obbligo per i media di rendere pubblici i fondi ricevuti dalla pubblicità statale e dal sostegno finanziario dello Stato. Inoltre, i criteri per l’assegnazione di questi fondi devono essere pubblici, proporzionati e non discriminatori. Infine, il regolamento mira a proteggere la libertà dei media dalle grandi piattaforme online, prevenendo la limitazione o la rimozione arbitraria dei contenuti mediatici indipendenti. Le piattaforme dovranno informare gli interessati prima di adottare misure di questo tipo e consentire loro di rispondere entro 24 ore, con la possibilità per i media di presentare ricorso presso un organismo per la risoluzione extragiudiziale delle controversie. Il Media Freedom Act introduce inoltre restrizioni significative sull’uso degli spyware, consentendo il loro impiego soltanto in situazioni eccezionali e previa autorizzazione di un’autorità giudiziaria. Tale autorizzazione sarà limitata alle indagini su reati gravi, sottolineando l’importanza di un approccio ponderato e legalmente regolamentato nell’utilizzo di strumenti di sorveglianza digitali. Durante il dibattito, la relatrice Sabine Verheyen (PPE, DE) ha enfatizzato l’importanza cruciale della pluralità dei media per il corretto funzionamento di una democrazia, sottolineando che tale concetto non può mai essere sopravvalutato. Ha evidenziato il fatto che la libertà di stampa è attualmente minacciata in tutto il mondo, incluso all’interno dell’Unione europea, citando tragici esempi come l’omicidio a Malta e le crescenti minacce alla libertà di stampa in Ungheria, tra molti altri. Verheyen ha quindi affermato che la Legge europea per la libertà dei media rappresenta la risposta dell’UE a questa crescente minaccia e costituisce una pietra miliare della legislazione europea. Questo regolamento mira a valorizzare e proteggere il ruolo duplice dei media sia come imprese sia come custodi fondamentali della democrazia. Il Media Freedom Act, conclude l’Usigrai, «interviene anche sulla certezza di risorse per i Servizi Pubblici. Per questo chiediamo che si intervenga anche alla questione del canone Rai che, dopo il recente taglio, mette a rischio l’indipendenza e l’esistenza stessa del Servizio Pubblico radiotelevisivo e multimediale». Il Media Freedom Act rappresenta dunque un passo avanti significativo nella tutela della libertà di stampa e nell’assicurare un ambiente mediatico sano e libero da interferenze esterne. Tuttavia, resta fondamentale vigilare sull’effettiva attuazione di queste disposizioni da parte degli Stati membri, affinché la legge possa tradursi concretamente in una maggiore protezione per i giornalisti e per la democrazia stessa.

Il vortice mediatico dietro la copertina de L’Espresso

L'Espresso e Chiara Ferragni

La nuova copertina de L’Espresso ha scatenato un vortice di polemiche e discussioni intorno alla figura di Chiara Ferragni, influencer di fama mondiale. L’immagine che la ritrae, con un trucco che ricorda vagamente quello di un pagliaccio, è diventata virale sui social, anticipando un’inchiesta giornalistica dal titolo eloquente: “Ferragni Spa: Il lato oscuro di Chiara”. L’articolo svela un intricato labirinto di società e quote azionarie, in cui la trasparenza sembra essere assente. Partner discutibili, manager sotto indagine e dipendenti mal retribuiti compongono l’immagine di un impero guidato dall’influencer, dove la chiarezza e la giustizia sociale sembrano essere lasciate ai margini. Se da un lato alcuni considerano la copertina un atto di eccesso e di cattivo gusto, definendola una violenza mediatica, dall’altro ci sono coloro che apprezzano la decisione del settimanale nel mettere in luce aspetti meno noti della personalità di Ferragni. La discussione si accende sui social, divisa tra chi critica la superficialità dell’approccio e chi difende la libertà di informazione. L’influencer stessa ha reagito tramite i suoi legali, minacciando azioni legali contro la società editrice dell’articolo. Si difende sostenendo di essere stata oggetto di diffamazione e denigrazione, proprio nel giorno in cui dovrebbe essere celebrata come donna di successo. Tra le voci che si alzano in difesa di Ferragni, spicca quella del rapper Fedez, che ha ironizzato sulla situazione chiedendo quando sarà l’ora di un’inchiesta sul proprietario del giornale, un magnate petrolifero. Un gesto che aggiunge ulteriori elementi alla complessa trama di questa storia che coinvolge non solo una figura pubblica, ma anche il mondo del giornalismo e dei media digitali. La vicenda, tuttavia, è solo all’inizio e resta da vedere quali saranno gli sviluppi futuri e se verrà fatta luce sul presunto “lato oscuro” di Chiara Ferragni e del suo impero digitale.      

Meta sospende Facebook News negli Stati Uniti e in Australia

Meta chiude Facebook News

A partire dal 2024, Facebook ha annunciato la decisione di eliminare Facebook News, la sezione dedicata alle notizie nella sezione dei segnalibri su Facebook, negli Stati Uniti e in Australia. Questa decisione – che segue l’annuncio fatto a settembre 2023 riguardante la rimozione di Facebook News dal Regno Unito, dalla Francia e dalla Germania l’anno scorso – è parte di un impegno continuo per allineare meglio gli investimenti ai prodotti e servizi che le persone apprezzano di più. “Come azienda, dobbiamo concentrare il nostro tempo e le nostre risorse su ciò che le persone ci dicono di voler vedere di più sulla piattaforma, incluso il video di breve durata. Il numero di persone che utilizzano Facebook News in Australia e negli Stati Uniti è diminuito di oltre l’80% lo scorso anno. Sappiamo che le persone non vengono su Facebook per le notizie e i contenuti politici, ma per connettersi con altre persone e scoprire nuove opportunità, passioni e interessi. Come abbiamo già condiviso nel 2023, le notizie rappresentano meno del 3% di ciò che le persone vedono nel loro feed di Facebook in tutto il mondo e sono una piccola parte dell’esperienza di Facebook per la grande maggioranza delle persone”. Le modifiche che interessano la funzione Facebook News non avranno altrimenti impatti sui prodotti e servizi di Meta in questi paesi. Le persone potranno comunque visualizzare i link agli articoli di notizie su Facebook. I giornalisti continueranno ad avere accesso ai loro account e alle loro pagine su Facebook, dove potranno pubblicare link alle loro storie e indirizzare le persone ai loro siti web, allo stesso modo di qualsiasi altra persona o organizzazione. Le organizzazioni di notizie possono ancora sfruttare prodotti come Reels e il nostro sistema pubblicitario per raggiungere un pubblico più ampio e indirizzare le persone ai loro siti web, dove mantengono il 100% del ricavo derivato dai link esterni su Facebook. Nonostante l’eliminazione di Facebook News in questi paesi, questo annuncio non influisce sui termini dei nostri accordi esistenti con i publisher di Facebook News in Australia, Francia e Germania. Questi accordi sono già scaduti negli Stati Uniti e nel Regno Unito. Inoltre, per garantire che continuiamo a investire in prodotti e servizi che favoriscono l’engagement degli utenti, non entreremo in nuovi accordi commerciali per contenuti di notizie tradizionali in questi paesi e non offriremo nuovi prodotti Facebook specificamente per i publisher di notizie in futuro. Tutto ciò non influisce sul nostro impegno a connettere le persone a informazioni affidabili sulle nostre piattaforme. Collaboriamo con verificatori di terze parti – certificati da enti di accreditamento come il non partigiano International Fact-Checking Network – che revisionano e valutano le disinformazioni virali sulle nostre app. Abbiamo costruito la più grande rete globale di fact-checking di qualsiasi piattaforma collaborando con più di 90 organizzazioni indipendenti di fact-checking in tutto il mondo che revisionano contenuti in più di 60 lingue. Abbiamo contribuito con oltre 150 milioni di dollari a programmi che supportano i nostri sforzi di fact-checking dal 2016 per combattere la diffusione di disinformazione e continueremo ad investire in questo settore.