Google AI Mode cambia le regole: addio ai link, cala il traffico ai media fino al 40%

Google AI mode

L’introduzione dell’AI Mode all’interno di Google Search segna un passaggio cruciale nella storia dell’informazione digitale, incidendo direttamente sull’ecosistema dei siti di news e sull’equilibrio dell’open web. Annunciata al Google I/O 2023 e potenziata nel 2024 con l’integrazione dei modelli Gemini, questa tecnologia rappresenta la trasformazione definitiva della Search Generative Experience e si prepara a un rilascio globale entro la fine del 2025.

CHE COS’È AI MODE E COME FUNZIONA

Con l’introduzione della nuova AI Mode direttamente nella homepage di Google, la ricerca sul web entra in una fase del tutto nuova. Diversamente dalla tradizionale pagina di ricerca, che mostra una lista ordinata di link in base alla pertinenza, AI Mode fornisce una risposta generata dall’intelligenza artificiale, costruita in tempo reale sulla base delle informazioni presenti sul web. Il funzionamento è simile a una conversazione: l’utente può porre domande complesse, ricevere risposte articolate e porre domande successive per chiarimenti o approfondimenti. L’obiettivo, spiegano da Mountain View, è quello di offrire un’assistenza intelligente che vada oltre il semplice accesso ai siti.

Questa modalità si distingue anche dalle AI Overview, attive in Italia dal 26 marzo, che mostrano brevi sintesi in linguaggio naturale in cima ai risultati tradizionali. Come specifica Google, queste vengono compilate da Gemini “traendo informazioni dai migliori risultati di ricerca, e includendo link che corroborino le informazioni che vengono presentate”. La decisione su quando mostrarle dipende dal contesto: “a seconda del grado di fiducia nella qualità dei risultati: non ci saranno per temi particolarmente sensibili o pericolosi, e potrebbero non apparire per notizie dell’ultimo minuto”. Ma a differenza delle Overview – che restano brevi e sintetiche – AI Mode è progettata per fornire ragionamenti, confronti dettagliati, analisi approfondite e risposte multimodali.

“L’obiettivo principale di questi cambiamenti – ha spiegato Elizabeth Reid, responsabile della Search di Google – è anzitutto quello di rendere più semplice e immediato porre domande: perché questa è la prima esigenza degli utenti” […]. “Noi vogliamo garantire la migliore esperienza agli utenti. Vogliamo non solo organizzare la conoscenza, ma anche renderla utile e ricca, accessibile in modo affidabile, semplice: in altre parole, democratizzare la comprensione delle informazioni. L’intelligenza artificiale non vuole porsi come rimpiazzo, ma come ausilio per navigare la ricchezza della rete”.

AI Mode è ancora in fase sperimentale, ma si candida a ridefinire il modo in cui interagiamo con la conoscenza online, in un contesto in cui – come osserva Reid – “rendendo più semplice fare domande, e fornendo un contesto alle risposte, le persone aumentano le loro curiosità. Si sentono più spinte a cercare. D’altronde, quando siamo bambini continuiamo a chiedere: ‘Perché? Perché’. Poi smettiamo: ma se si rende il processo di ricerca più semplice, torniamo a essere più curiosi. E questo è un bene”.

TRASFORMAZIONE RADICALE

Per i siti di news, l’avvento dell’AI Mode rappresenta una trasformazione radicale. Lo storico meccanismo di acquisizione del traffico tramite motori di ricerca è messo in crisi: le risposte fornite direttamente da Google riducono la necessità di accedere ai link esterni. Secondo dati raccolti da SimilarWeb, piattaforme come Wikipedia, YouTube, Reddit, Yahoo e persino Google Search in versione browser stanno registrando un calo di traffico tra il 2% e il 6%.

In controtendenza, la piattaforma ChatGPT ha registrato un aumento del 15% delle visite nel solo mese di aprile 2025, superando i 5 miliardi di accessi e diventando il quinto sito più visitato al mondo. Il fenomeno riflette la crescente abitudine degli utenti ad affidarsi ai large language model per trovare risposte, riducendo così la necessità di consultare i siti web tradizionali.

IMPATTO NEGATIVO

Secondo il Wall Street Journal, il 40% del traffico dei principali siti di informazione proviene da ricerche su Google. L’introduzione dell’AI Mode, che fornisce risposte esaustive direttamente nella pagina di ricerca, rischia di causare una perdita tra il 20% e il 40% del traffico per molti editori. Una ricerca del Brookings Institute stima che entro il 2026, il 25% del traffico generato dai motori di ricerca verrà perso a causa dell’adozione delle AI search.

ACCORDI EDITORIALI CON LE BIG TECH

Per mitigare l’impatto economico, alcuni grandi gruppi editoriali hanno siglato accordi con aziende che sviluppano modelli linguistici. News Corp riceverà da OpenAI 250 milioni di dollari in cinque anni. Axel Springer ne otterrà circa 30 milioni in tre anni, mentre il Financial Times tra i 5 e i 10 milioni l’anno. Accordi simili sono stati sottoscritti anche da Gedi, Le Monde, Prisa Media e Vox Media.

“ESTINZIONE DIGITALE”

Il rischio maggiore riguarda le piccole testate e i progetti editoriali indipendenti, spesso esclusi da questi accordi e fortemente dipendenti dal traffico organico. Senza visibilità nei risultati AI, questi siti rischiano l’estinzione digitale. È un circolo vizioso: meno visite significano minori entrate, quindi meno contenuti e quindi minore utilità per i motori di ricerca e i modelli AI, che rischiano così di perdere l’accesso a fonti diversificate e aggiornate.

SBAGLIARE CON SICUREZZA

Il Columbia Journalism Review (CJR) ha analizzato le prestazioni di otto chatbot AI — tra cui ChatGPT, Perplexity, Gemini, Grok e Copilot — nel riconoscere e citare correttamente articoli giornalistici. I risultati mostrano che, nel 60% dei casi, le risposte erano sbagliate o mancavano di indicazioni sulle fonti. Il tasso di errore variava dal 37% (Perplexity) al 94% (Grok 3), con errori spesso presentati “con una sicurezza allarmante”, senza segnali di dubbio o ammissione d’incertezza. A peggiorare la situazione, i modelli premium — come Perplexity Pro e Grok 3 — risultavano più affidabili nel rispondere, ma anche più propensi a generare errori sicuri.

Un problema grave riguarda gli URL inventati o errati: Grok 3 ha generato 154 link sbagliati su 200, compromettendo la possibilità degli utenti di verificare le informazioni. Inoltre, i chatbot spesso violano i protocolli robots.txt, ignorando le restrizioni imposte dai siti per bloccare la scansione dei contenuti. Perplexity Pro è stato il “peggior trasgressore”.

In parallelo, alcune aziende AI hanno avviato accordi di licenza con editori per accedere ai contenuti in modo regolare. È il caso di OpenAI, che ha stretto accordi con Schibsted e Guardian. Tuttavia, anche in presenza di intese formali, i risultati non sono sempre più accurati: se gli articoli del Time sono stati ben riconosciuti, il San Francisco Chronicle è stato correttamente identificato solo una volta su dieci — e persino in quel caso con un URL errato.

Infine, il CJR sottolinea che le risposte dei chatbot non sono stabili: anche ponendo la stessa domanda con lo stesso prompt, è frequente ricevere risposte diverse, evidenziando l’incertezza strutturale di questi sistemi.