In pochi mesi, la tradizionale ottimizzazione per i motori di ricerca (SEO) ha ceduto il passo a nuovi modelli pensati per l’interazione con l’intelligenza artificiale. Come riportato da Primaonline, si chiamano AEO (Answer Engine Optimization), GEO (Generative Engine Optimization) e AIO (Artificial Intelligence Optimization), e rappresentano l’adattamento dei contenuti digitali non più alle logiche dei motori classici come Google, ma agli algoritmi dei nuovi motori conversazionali basati su modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM).
Il cambiamento è stato accelerato dall’introduzione di funzionalità come gli AI Overviews, attivi su Google, che rispondono direttamente alle domande degli utenti sintetizzando le informazioni disponibili online, riducendo la necessità di cliccare sui link nei risultati. Secondo dati riportati dal New York Post, il 69% delle ricerche di notizie su Google oggi si conclude senza clic su alcun sito esterno. Solo un anno fa la percentuale era del 56%. Il traffico verso i siti editoriali è sceso da 2,3 miliardi a meno di 1,7 miliardi di visite, con un impatto diretto su editori, brand e creatori di contenuti.
La SEO, pensata per favorire la visibilità nei risultati tradizionali, non è più sufficiente. Le nuove tecniche di ottimizzazione rispondono alla necessità di essere citati come fonti autorevoli dai modelli generativi, che producono contenuti invece di limitarli a elencare. Con l’AEO, l’obiettivo è adattarsi ai motori di risposta, cioè sistemi in grado di fornire risposte complete, evitando all’utente la navigazione verso siti esterni. La GEO mira invece a strutturare i contenuti in modo che siano leggibili, affidabili e pronti per essere rielaborati dall’intelligenza artificiale. L’AIO, infine, punta sull’autorevolezza, sulla firma riconoscibile e sulla provenienza certa dell’informazione, elementi che aumentano la probabilità che un contenuto venga scelto dall’AI.
In questo scenario emergono piattaforme alternative come Comet, sviluppata da Perplexity, che integra capacità generative e propone una navigazione orientata alla risposta, basata su fonti tracciabili e riassunti contestualizzati. Comet ha già raccolto 165 milioni di dollari da investitori come Jeff Bezos e punta a sostituire Google non solo nella funzione di ricerca, ma anche come porta d’accesso al web.
Anche OpenAI sta lavorando a un proprio browser con ChatGPT integrato, progettato per trattenere le ricerche e le interazioni all’interno dell’ecosistema aziendale. Per le aziende editoriali, questo rappresenta un cambio radicale: non si tratta più di farsi trovare, ma di essere scelti dall’AI, che decide quali fonti mostrare, citare o sintetizzare.
Il nuovo paradigma porta con sé sfide anche sul piano dell’affidabilità. Studi condotti dall’Università di Zurigo hanno rilevato che la disinformazione generata dall’intelligenza artificiale è spesso percepita come più credibile rispetto a quella prodotta da esseri umani. Il rischio di errori, distorsioni o informazioni inventate impone nuove cautele nella produzione e nella verifica dei contenuti.
(Foto creata con ChatGPT)