Pete Hegseth: “I nostri ragazzi sui bombardieri”. Il NYTimes contesta il lessico non inclusivo

Le parole utilizzate dal Segretario alla Difesa statunitense Pete Hegseth durante una conferenza stampa sul coinvolgimento degli Stati Uniti nel raid aereo contro siti nucleari iraniani hanno innescato un’immediata reazione da parte del New York Times, che ha contestato pubblicamente l’uso dell’espressione “i nostri ragazzi su quei bombardieri”, riferita ai piloti del B-2. Il quotidiano ha posto l’accento sull’aspetto linguistico e inclusivo della comunicazione istituzionale, evidenziando come tale formulazione escluda implicitamente il personale femminile, in un settore – quello militare – dove uomini e donne sono ugualmente abilitati al volo operativo. L’osservazione è stata pubblicata in un post a firma del giornalista del Pentagono John Ismay sul blog della testata: “Nel briefing, Hegseth si è riferito ai piloti del B-2 come ‘i nostri ragazzi su quei bombardieri’, eppure sia uomini che donne sono stati addestrati a pilotarli”. Come riporta il New York Post, il caso ha rapidamente ha rapidamente assunto una dimensione mediatica, con centinaia di commenti online, spesso critici nei confronti della scelta del giornale di evidenziare l’aspetto terminologico in un contesto di operazione militare su larga scala. Sui social media, molti utenti hanno deriso l’attenzione posta dal quotidiano sul linguaggio, considerandola fuori luogo. Alcuni esempi: “Ecco perché la gente usa il New York Times per rivestire le gabbie degli uccelli”, “Sì, assicuriamoci di essere politicamente corretti in questo momento difficile”, o ancora: “Che idiota. Noi donne sappiamo esattamente cosa intendeva il Segretario Hegseth”. Le reazioni si sono polarizzate attorno a due visioni opposte: da un lato la funzione di vigilanza linguistica del giornalismo, dall’altro il rischio di perdita di contesto in situazioni ad alta criticità geopolitica. L’episodio si inserisce nel più ampio dibattito sul ruolo del linguaggio nei discorsi pubblici e sull’intervento dei media generalisti nella definizione delle cornici interpretative. L’attenzione del New York Times si è concentrata non sul contenuto operativo del raid – che ha visto il lancio di sei bombe “bunker buster” su obiettivi nucleari iraniani – ma sulla costruzione retorica della narrazione istituzionale. Il caso sottolinea ancora una volta come, nelle comunicazioni ufficiali, ogni parola possa diventare oggetto di sorveglianza semantica da parte della stampa, specialmente in un’epoca in cui la precisione lessicale è parte integrante della responsabilità pubblica. La conferenza stampa si è svolta a Washington domenica 22 giugno. Il raid è durato 37 ore, con partenza e ritorno dei velivoli alla base aerea di Whiteman, nel Missouri. Non è stato confermato se vi fossero piloti donne a bordo. Tuttavia, il focus dell’intervento del NYT ha spostato l’attenzione dal piano operativo a quello comunicativo, riaffermando il ruolo della stampa come osservatore attivo del discorso politico-militare.
Pentagono, nuove regole limitano l’accesso ai media per prevenire fughe di notizie

Il Segretario alla Difesa Pete Hegseth ha annunciato nuove restrizioni per i giornalisti accreditati presso il Pentagono, limitandone l’accesso agli spazi non classificati del quartier generale del Dipartimento della Difesa. Le disposizioni, entrate in vigore immediatamente, impongono che i reporter siano scortati da personale ufficiale per muoversi all’interno dell’edificio di Arlington, in Virginia, a meno che non dispongano di un’autorizzazione specifica. Nel memorandum ufficiale, Hegseth ha sottolineato l’impegno del Dipartimento nel mantenere la trasparenza, ribadendo però la necessità di tutelare informazioni classificate e dati sensibili, la cui diffusione non autorizzata potrebbe rappresentare un rischio per la sicurezza dei militari statunitensi. Il provvedimento si inserisce in un contesto più ampio di contrasto alle fughe di notizie, considerato una priorità dell’amministrazione guidata da Donald Trump. La stretta sulla stampa riguarda anche misure già in atto, come l’utilizzo del poligrafo per identificare le fonti di divulgazione non autorizzata. Secondo fonti interne, alcuni funzionari del Dipartimento della Sicurezza Interna sono stati informati della possibilità di essere licenziati in caso di rifiuto a sottoporsi alla macchina della verità. Le nuove linee guida sono state criticate dalla Pentagon Press Association, l’organizzazione che rappresenta i giornalisti specializzati in affari militari, che ha definito le restrizioni un “attacco diretto alla libertà di stampa”. In una nota ufficiale, l’associazione ha ricordato che per decenni i reporter hanno avuto accesso regolare agli spazi non classificati del Pentagono, anche in periodi di elevata tensione nazionale, come dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, senza che ciò fosse ritenuto un rischio per la sicurezza operativa. Le limitazioni coincidono con l’inizio del secondo mandato di Trump, insediatosi a gennaio, in un contesto di crescente tensione tra l’amministrazione e la stampa. Nel nuovo assetto, alcune testate tradizionali sono state costrette a lasciare i propri uffici all’interno del Pentagono, nell’ambito di un sistema di rotazione che, secondo le autorità, intende offrire opportunità eque ad altri organi di informazione. Tra i media coinvolti figurano il New York Times, il Washington Post, la Cnn e Nbc News, insieme a testate vicine all’attuale amministrazione come il New York Post, Breitbart, Daily Caller e One America News Network. (In foto, Donald Trump e Pete Hegseth)