I giornalisti di The Athletic chiedono diritti sindacali

NYTimes sede

I giornalisti di The Athletic, sito web di notizie sportive di proprietà del New York Times, hanno annunciato la loro intenzione di sindacalizzarsi. Circa 200 redattori statunitensi hanno chiesto al New York Times di riconoscerli come parte della Times Guild, il sindacato che rappresenta attualmente 1.500 lavoratori tra giornalisti, redattori e altri collaboratori editoriali. Il New York Times ha acquistato The Athletic nel gennaio 2022 per 550 milioni di dollari. Successivamente, nel luglio 2023, il quotidiano ha deciso di sciogliere la sua sezione sportiva, affidando la copertura sportiva a The Athletic. In questo contesto, i giornalisti del sito sportivo hanno espresso l’esigenza di avere gli stessi diritti e tutele sindacali dei colleghi già rappresentati dalla Times Guild, come affermato da Katie Strang, una scrittrice investigativa senior di The Athletic. La Times Guild, che è affiliata alla NewsGuild di New York, rappresenta giornalisti e redattori del New York Times, ma anche altri lavoratori come quelli del settore tecnologico e di Wirecutter, un sito di raccomandazione di prodotti. Lunedì scorso, i leader della Times Guild hanno fatto appello affinché il New York Times riconosca i giornalisti di The Athletic come membri del sindacato, chiedendo loro gli stessi benefici e protezioni. Se il New York Times non dovesse accettare la richiesta di sindacalizzazione, la NewsGuild di New York ha dichiarato che solleverà la questione presso il National Labor Relations Board (NLRB), l’ente federale che si occupa dei diritti dei lavoratori negli Stati Uniti. Un portavoce del New York Times, Jordan Cohen, ha dichiarato che la società sta valutando attentamente la richiesta avanzata dai giornalisti di The Athletic.

Trump sfida il New York Times: 10 miliardi per diffamazione

NYT Headquarters, NY

Donald Trump ha dato avvio a una serie di azioni legali e minacce contro i media ritenuti “nemici”, come rivelato dalla Columbia Journalism Review. Pochi giorni prima delle elezioni presidenziali, l’avvocato Edward Andrew Paltzik, in rappresentanza del futuro presidente eletto, ha inviato una lettera al New York Times e alla casa editrice Penguin Random House, chiedendo 10 miliardi di dollari di risarcimento per presunti danni derivanti da articoli giudicati critici e diffamatori. La lettera, che si aggiunge a un’ondata di azioni legali avviate da Trump contro testate giornalistiche e media, accusa il New York Times di essere diventato “un megafono del partito Democratico” e di condurre una campagna di “diffamazione su scala industriale” contro i suoi oppositori politici. I giornalisti Peter Baker, Michael S. Schmidt, Susanne Craig e Russ Buettner vengono citati come autori di articoli che avrebbero contenuto “affermazioni false e diffamatorie”. La lettera si concentra in particolare su due articoli cofirmati da Craig e Buettner, collegati al loro libro Lucky Loser: How Donald Trump Squandered His Father’s Fortune and Created the Illusion of Success, pubblicato lo scorso settembre. Viene inoltre citato un pezzo del 20 ottobre a firma di Peter Baker, intitolato Per Trump una vita di scandali porta al momento del giudizio, e un articolo del 22 ottobre di Schmidt, Con le elezioni alle porte Kelly avverte che Trump governerà da dittatore, in cui l’ex capo di gabinetto John Kelly criticava aspramente l’ex presidente. Secondo quanto riportato nella missiva, il New York Times avrebbe avuto “ogni intenzione di diffamare e denigrare il marchio Trump, famoso in tutto il mondo, che i consumatori associano da tempo all’eccellenza, al lusso e al successo nell’intrattenimento, nell’ospitalità e nel settore immobiliare, tra molti altri settori, nonché di diffamarlo e denigrarlo falsamente e maliziosamente come candidato alla carica più alta negli Stati Uniti”. Le azioni legali non si sono fermate al New York Times. Trump ha intentato una causa contro CBS News per 10 miliardi di dollari, accusando la rete di aver manipolato un’intervista con la candidata democratica Kamala Harris trasmessa il 7 ottobre durante il programma 60 Minutes. Secondo i legali di Trump, il montaggio dell’intervista avrebbe rappresentato una forma di “interferenza elettorale”. Anche il Daily Beast è stato preso di mira: gli avvocati del team di Trump hanno inviato un’ingiunzione, contestando un articolo che attribuiva a Chris LaCivita, co-direttore della campagna elettorale, un guadagno personale di 22 milioni di dollari derivante da donazioni elettorali. Nonostante la testata abbia corretto l’articolo, precisando che i fondi erano stati versati alla società di LaCivita e non a lui personalmente, Trump ha continuato a minacciare azioni legali per la presunta rappresentazione distorta dei fatti. Anne Champion, avvocata esperta in casi legali legati a Donald Trump, ha evidenziato come le cause intentate contro i media creino un “effetto agghiacciante”, soprattutto per le testate più piccole, che rischiano la bancarotta nel tentativo di difendersi. Anche le grandi redazioni, secondo Champion, subiscono pressioni che influenzano il processo giornalistico, temendo il peso economico delle controversie legali. La lettera inviata al New York Times accusa il giornale di aver intenzionalmente diffamato Trump, descrivendolo come un brand globale sinonimo di successo e lusso, oltre che come “epitome del sogno americano”. Viene elencata una lunga serie di successi personali e imprenditoriali, tra cui cinquanta progetti significativi, ventitré libri e numerose apparizioni mediatiche, come WrestleMania V e il videogioco Donald Trump Real Estate Tycoon! Infine, la lettera respinge le critiche mosse dagli articoli al periodo di Trump come star di The Apprentice, considerandolo uno dei suoi traguardi più celebri, accanto ai successi immobiliari e alla vittoria presidenziale al primo tentativo. Le azioni legali di Trump non sono una novità: già nel 2005 aveva citato in giudizio il giornalista Tim O’Brien per il libro TrumpNation: The Art of Being The Donald. La causa, poi respinta, mirava, come dichiarato dallo stesso Trump, “a rendere la vita del giornalista un inferno”.    

New York Times, sciopero tech rischia copertura elettorale

NYTimes

I dipendenti tech del New York Times, rappresentati dalla Times Tech Guild, hanno indetto uno sciopero un giorno prima delle elezioni presidenziali del 2024, dopo una lunga disputa sulla parità salariale e sul lavoro ibrido. Lo sciopero, iniziato alle 00:01 ET di lunedì e sostenuto con picchetti giornalieri davanti alla sede dell’8th Avenue, potrebbe segnare il primo evento simile dal 1964 a coincidere con le elezioni, secondo il sindacato. La Times Tech Guild, affiliata alla NewsGuild di New York, ha dichiarato che la protesta nasce dall’insoddisfazione per la mancanza di accordo su temi chiave, nonostante numerosi cicli di trattative. Kathy Zhang, presidente della Tech Guild, ha affermato che “il management è disposto a mettere a rischio la nostra copertura elettorale che ad accettare un accordo equo”. Il sindacato ha persino chiesto ai lettori di rispettare un “picchetto digitale”, evitando di utilizzare servizi come Wordle, Connections, e l’app NYT Cooking. Kathy Zhang, presidente della Tech Guild, ha dichiarato che il sindacato ha cercato di evitare lo sciopero, ma che il rifiuto del management di accettare un accordo equo li ha costretti a manifestare. Tuttavia, il sindacato rimane aperto a negoziare per chiudere il contratto. La NewsGuild ha anche presentato una denuncia per pratiche di lavoro scorrette, segnalando diverse violazioni del diritto del lavoro. La protesta, però, non coinvolge i giornalisti responsabili della copertura elettorale. Alastair Coote, del team interattivo del Times, ha scritto su X che avrebbe dovuto finalizzare il sistema di aggiornamenti elettorali, ma il mancato riconoscimento delle stesse tutele riservate ai colleghi di NewsGuild ha portato la Tech Guild a scioperare. Danielle Rhoades Ha, vicepresidente delle comunicazioni esterne del New York Times, ha affermato che l’azienda è impegnata a raggiungere un contratto equo con la Tech Guild, i cui membri sono tra i più pagati. Ha espresso delusione per lo sciopero, ritenendolo non necessario e contrario alla missione del giornale, soprattutto in un periodo di copertura elettorale cruciale. L’annuncio dello sciopero è avvenuto in concomitanza con il report sui profitti del terzo trimestre, che ha registrato 260.000 nuovi abbonati digitali, portando il totale a 11,09 milioni. Nel frattempo, le azioni del New York Times a Wall Street stanno registrando una flessione significativa, con una perdita di circa il 6,7%.

Il New York Times appoggia Kamala Harris

Kamala Harris

A poco più di un mese dalle elezioni presidenziali americane, il New York Times ha dichiarato ufficialmente il proprio sostegno a Kamala Harris come candidata alla presidenza. Questo appoggio non è del tutto inaspettato, poiché il quotidiano aveva già manifestato più volte dubbi riguardo l’età avanzata di Joe Biden, generando attriti con la Casa Bianca. Un fatto rilevante è che l’ultima volta che il giornale aveva sostenuto un candidato repubblicano risale al 1956, con David D. Eisenhower. Secondo il comitato editoriale, Harris rappresenta “l’unica opzione” e la “sola voce patriottica” per guidare il Paese, mentre Donald Trump è stato descritto come un candidato totalmente “indegno” di ricoprire il ruolo di presidente degli Stati Uniti. La testata ha aggiunto che Trump ha dimostrato di essere “moralmente” e “caratterialmente inadatto” alla guida del Paese. Tuttavia, nel suo precedente mandato, alcuni dei collaboratori da lui nominati sono stati in grado di salvaguardare l’America dalle sue azioni più pericolose. Queste persone, infatti, “si sono rifiutate a infrangere la legge in suo nome” e hanno preso posizione quando l’ex presidente ha anteposto i propri interessi a quelli nazionali. Per il giornale, Trump è intenzionato a circondarsi di individui più disposti ad accontentare le sue richieste, qualora fosse rieletto.

Il New York Times riapre il suo ufficio in Vietnam

NYT Headquarter

Il New York Times ha ufficialmente ristabilito il suo ufficio in Vietnam, un evento che segna un momento significativo nella crescente importanza del paese nel panorama economico e politico regionale. L’annuncio è stato fatto durante una cerimonia formale ad Hanoi, dove il Ministero degli Affari Esteri ha concesso al prestigioso quotidiano la sua licenza operativa. All’evento, il vice ministro degli Affari Esteri Lê Thị Thu Hằng ha enfatizzato il ruolo cruciale che l’ufficio avrà non solo per il giornalismo, ma anche per migliorare la comprensione globale del rapido sviluppo del Vietnam. “L’istituzione di un ufficio faciliterà il lavoro giornalistico del New York Times in Vietnam e fornirà una vivida copertura del paese e della regione”, ha dichiarato Hằng. La riapertura dell’ufficio giunge in un momento particolarmente significativo, con il Vietnam e gli Stati Uniti che si preparano a celebrare il primo anniversario della loro Comprehensive Strategic Partnership e tre decenni di relazioni diplomatiche nel 2025. Questa mossa sottolinea l’importanza crescente del Vietnam sulla scena internazionale e il suo ruolo strategico nel contesto globale. Damien Cave, il nuovo capo dell’ufficio del New York Times in Vietnam, ha espresso il suo entusiasmo per il nuovo incarico. Cave ha sottolineato l’importanza crescente del Vietnam negli affari internazionali, affermando: “Il Vietnam sta acquisendo un ruolo più alto e importante nello spazio internazionale”. Ha aggiunto che la missione dell’ufficio sarà focalizzata sul raccontare la storia di un Vietnam in rapido cambiamento, in particolare nel contesto dei suoi crescenti legami con gli Stati Uniti, oltre mezzo secolo dopo la fine della guerra. In una dichiarazione ufficiale, il New York Times ha ribadito il suo impegno nel coprire l’ascesa dell’Asia come attore chiave sulla scena globale. “Siamo entusiasti di annunciare che stiamo ricostituendo un ufficio in Vietnam e che Damien Cave assumerà l’entusiasmante missione di guidarlo”, ha affermato il quotidiano. “Il ritorno del Times in Vietnam è un segno dell’ascesa dell’Asia come importante centro di potere economico e politico. È anche una testimonianza dell’impegno dell’International desk nell’espandere la copertura globale e rafforzare il giornalismo indipendente in tutto il mondo”.

Sulzberger (NYT) sul Post: difendere la libertà di stampa

A.G. Sulzberger

L’editore del New York Times, A.G. Sulzberger, ha pubblicato un raro articolo di opinione sul Washington Post, chiedendo un “fronte comune dei media” per difendere la libertà di stampa di fronte alle crescenti minacce globali. Questo intervento segue un aumento degli attacchi alla stampa indipendente in paesi come Ungheria, India e Brasile, e sottolinea come tali minacce potrebbero avere un impatto significativo sulle elezioni statunitensi del prossimo novembre. Nel suo articolo, Sulzberger ha evidenziato come Donald Trump si sia distinto per i suoi sforzi aggressivi di limitare la stampa libera negli Stati Uniti. “Spero che la nostra nazione, con le protezioni per la libertà di stampa esplicitamente inserite nel Primo Emendamento, mantenga la rotta a prescindere dall’esito di questa o di qualsiasi altra elezione”, ha dichiarato Sulzberger. Il suo appello è un richiamo all’unità tra le organizzazioni giornalistiche, sottolineando che le sfide odierne non possono essere affrontate da una sola istituzione. Sulzberger ha ringraziato il Washington Post per aver ospitato il suo intervento, considerando la lunghezza e la rilevanza dell’articolo. “È questo un altro esempio di come il Post, oltre a essere uno stimato rivale, sia stato da tempo uno dei nostri partner sul fronte della libertà di stampa. Siamo davanti a sfide che non possono essere risolte da una sola istituzione”, ha scritto Sulzberger al suo staff. Il New York Times e il Washington Post hanno già collaborato in passato su questioni cruciali per la libertà di stampa, come il caso dei Pentagon Papers. Quando il Times fu bloccato dall’amministrazione Nixon, il Post pubblicò i documenti segreti sulla guerra del Vietnam, culminando in una storica sentenza della Corte Suprema che affermò il diritto dei media di pubblicare tali documenti in nome del Primo Emendamento. NUOVE TATTICHE DI CONTROLLO Gli attacchi alla libertà di stampa non si limitano alle dittature tradizionali come Russia, Cina e Arabia Saudita, dove i giornalisti sono sistematicamente censurati, imprigionati o uccisi. I nuovi leader autoritari nelle democrazie hanno adottato metodi più sottili e sofisticati per indebolire il giornalismo indipendente. Questo approccio meno drammatico ma altrettanto pericoloso segue un “manuale” composto da cinque tattiche principali: Creazione di un clima ostile: questa tattica consiste nel seminare sfiducia nel giornalismo indipendente e normalizzare le molestie contro i giornalisti. L’obiettivo è creare un ambiente in cui la repressione della stampa diventa socialmente accettabile. Attraverso la diffusione di disinformazione e attacchi verbali, si mina la credibilità della stampa e si incoraggiano comportamenti ostili verso i giornalisti. Manipolazione legale e regolamentare: i leader autoritari utilizzano leggi fiscali, regolamenti sull’immigrazione e norme sulla privacy per punire i giornalisti e le organizzazioni mediatiche. Questi strumenti vengono impiegati per infliggere danni finanziari e burocratici alle testate indipendenti, rendendo difficile il loro funzionamento e la loro sostenibilità economica. Sfruttamento dei tribunali: viene impiegato un ampio ricorso ai contenziosi civili e ad altre cause legali per infliggere sanzioni economiche e logistiche ai media sfavoriti. Questi contenziosi spesso mancano di fondamento legale e servono più a intimidire che a ottenere giustizia. Le cause legali infondate o eccessivamente onerose possono esaurire le risorse delle testate indipendenti e scoraggiare il giornalismo critico. Espansione degli attacchi: incoraggiare attacchi ai giornalisti da parte di sostenitori influenti in vari settori amplifica l’effetto delle strategie repressive. Questo può includere pressioni da parte di figure di spicco nel settore pubblico e privato che sostengono la causa del governo contro la stampa indipendente, creando una rete di intimidazione e repressione. Premi ai media favorevoli: supportare i media che dimostrano fedeltà al governo attraverso sussidi e appalti, e facilitare l’acquisizione di testate indebolite da questi sforzi. Questo approccio non solo punisce i media indipendenti ma premia anche quelli che contribuiscono a consolidare la narrativa del governo, garantendo un controllo crescente sulle informazioni disponibili al pubblico. Come sottolinea Sulzberger, la creazione di un ambiente in cui le azioni repressive contro i media siano meno evidenti e più complicate è una strategia particolarmente efficace perché meno visibile e più difficile da combattere rispetto ai metodi di repressione più diretti. UNITÀ CRUCIALE La collaborazione tra il New York Times e il Washington Post su questi temi evidenzia la necessità di un’azione concertata. I due giornali dimostrano che la difesa della libertà di stampa è un obiettivo comune che trascende le rivalità editoriali. Sulzberger ha espresso gratitudine per l’opportunità di pubblicare il suo intervento sul Washington Post e ha ribadito che la protezione della libertà di stampa richiede un impegno collettivo. La sua dichiarazione sottolinea l’importanza di mantenere la stampa libera e indipendente come pilastro essenziale della democrazia. In un periodo di crescente sfiducia nei media e di pressione sui giornalisti, il sostegno reciproco tra le principali testate giornalistiche è fondamentale per garantire che la verità possa continuare a emergere e che i diritti dei cittadini possano essere protetti. (in foto, AG Sulzberger, editore del New York Times)

Il New York Times chiede a Biden di ritirarsi: “Non è più all’altezza”

Presidential Debate

In un editoriale sorprendente e deciso, il New York Times ha chiesto al presidente Joe Biden di ritirarsi dalla corsa per le elezioni presidenziali del 2024. “Per servire il suo Paese, il presidente Biden dovrebbe lasciare la corsa“, titola il board del quotidiano, facendo eco alla delusione diffusa dopo la disastrosa performance di Biden nel recente confronto televisivo con Donald Trump. BIDEN ACCUSATO, TRUMP DOMINANTE Durante il dibattito televisivo, Joe Biden ha avuto una performance molto deludente. Sin dalla prima domanda sull’economia e l’inflazione, Biden ha mostrato segni di difficoltà: la sua voce era roca e ha faticato a esprimersi chiaramente, interrompendosi spesso e perdendo il filo del discorso. Questo ha portato i commentatori della CNN a parlare di “disastro” e a discutere apertamente la possibilità di una sua sostituzione come candidato Democratico, mentre il partito ha tentato di giustificare la sua prestazione menzionando un raffreddore. Biden aveva l’obiettivo di rassicurare il paese sulle sue condizioni di salute e spostare l’attenzione su Trump, ma ha ottenuto l’effetto opposto. Le sue risposte erano spesso confuse e prive di incisività, come quando ha confuso Medicare con il Covid e ha evitato di parlare di temi cruciali come l’aborto, nonostante fosse un argomento debole per Trump. Anche nei momenti preparati, Biden è apparso sovraccarico di dati, risultando meccanico e meno incisivo. Trump, invece, è apparso sicuro di sé, sfruttando il format del dibattito con microfoni spenti per sembrare più disciplinato. Ha descritto i suoi quattro anni alla presidenza in modo iperbolico, attribuendosi successi esagerati e dando la colpa a Biden per la situazione attuale. Trump ha anche fatto affermazioni false, come dire che Biden è “pagato dalla Cina” o che vuole legalizzare l’aborto post-nascita, ma è riuscito a mantenere un’immagine più efficace e coerente. Il dibattito ha sollevato preoccupazioni significative per la campagna di Biden. La sua età e il sospetto di declino cognitivo sono diventati argomenti centrali, e se i Democratici inizieranno a perdere terreno nei sondaggi, potrebbe intensificarsi la discussione su una sua sostituzione. Tuttavia, la decisione di ritirarsi spetta solo a Biden, e in caso di sostituzione, la scelta del nuovo candidato potrebbe ricadere su Kamala Harris o altri candidati non partecipanti alle primarie. L’APPELLO DEL NEW YORK TIMES Il New York Times ha elogiato Biden per il suo servizio alla nazione e per i progressi compiuti sotto la sua amministrazione, ma ha sottolineato che la sua età e le sue prestazioni attuali rappresentano un rischio troppo grande per i Democratici e per il paese. L’editoriale suggerisce che ci sono altri leader nel Partito Democratico meglio equipaggiati per affrontare Trump e per presentare una visione convincente e energica per il futuro degli Stati Uniti. “Se la corsa si riducesse a una scelta tra Trump e Biden, il presidente in carica sarebbe la scelta inequivocabile di questo consiglio”, scrive il board del New York Times. Tuttavia, dato il pericolo rappresentato da un possibile secondo mandato di Trump, il giornale sottolinea la necessità di un avversario più forte e capace di sconfiggerlo. L’editoriale del New York Times non è solo un appello a Biden affinché rinunci alla candidatura, ma anche un invito ai Democratici a riconoscere la realtà delle condizioni attuali del presidente e a intraprendere un percorso di selezione di un nuovo candidato. “È la migliore occasione per proteggere l’anima della nazione – la causa che ha portato Biden a candidarsi alla presidenza nel 2019 – dalle maligne deformazioni di Trump”, conclude l’editoriale. Con le elezioni a soli quattro mesi di distanza, la richiesta del New York Times segna un momento cruciale per la campagna elettorale democratica, aprendo la strada a un dibattito interno sul futuro della leadership del partito e sul miglior modo per affrontare le sfide poste da Donald Trump.

Guerra a Gaza: NYTimes e Washington Post vincono il Pulitzer

Pulitzer-Prize

La guerra nella Striscia di Gaza ha fatto irruzione nei prestigiosi Premi Pulitzer, con giornalisti e fotografi degni di lode per la loro copertura avvincente degli eventi che hanno scosso la regione. L’annuncio dei vincitori della 108ª edizione dei Premi Pulitzer, amministrati dalla rinomata Columbia University, è avvenuto in un momento di tensione, con il campus di Morningside Heights ancora chiuso a causa delle proteste studentesche. Il board dei premi si è riunito nella sede dell’Associated Press per celebrare i trionfi del giornalismo e dell’arte. Il New York Times è stato onorato con il premio per il miglior giornalismo internazionale, riconoscendo il coraggio e la dedizione dei suoi reporter che hanno documentato l’attacco di Hamas contro Israele, mettendo in luce il fallimento dell’intelligence israeliana e la vasta risposta militare che ne è seguita. I fotografi della Reuters sono stati altrettanto riconosciuti nella categoria delle “immagini Breaking news“, immortalando con le loro lenti momenti cruciali di questa tragica vicenda. La giuria dei Pulitzer ha deciso di conferire una citazione speciale ai “coraggiosi reporter e operatori dei media” che hanno operato nella Striscia di Gaza, in condizioni estremamente pericolose. La loro determinazione nel raccontare le storie dei palestinesi e degli altri abitanti di Gaza, nonostante il rischio per la propria vita, è stata elogiata come un esempio di giornalismo eroico. Il Washington Post si è distinto con tre prestigiosi premi. Uno per l’inchiesta sull’impatto politico e culturale del fucile d’assalto AR-15, un altro per una serie di editoriali che hanno esaminato l’ascesa degli autocrati nel mondo contemporaneo, e infine un riconoscimento speciale al columnist Vladimir Kara-Murza, imprigionato in Russia per accuse di alto tradimento. Durante l’annuncio dei premi, il board del Pulitzer ha anche ribadito il suo appello per la liberazione del giornalista del Wall Street Journal Evan Gershkovich, trattenuto nelle carceri russe da oltre un anno. Oltre alle vicende internazionali, i premi hanno messo in evidenza temi cruciali come l’immigrazione e la giustizia. Il sito ProPublica è stato premiato per aver svelato le connessioni tra miliardari influenti e il sistema giudiziario, mentre la Reuters ha ricevuto riconoscimenti per il suo lavoro investigativo sulle società di Elon Musk, stimolando inchieste ufficiali sulle pratiche aziendali del magnate sia in Europa che negli Stati Uniti. Un ulteriore riconoscimento è stato attribuito alla scrittrice messicana Cristina Rivera Garza, insignita del Premio Pulitzer al memoir e all’autobiografia per il suo potente racconto “L’invincibile estate di Liliana”, che denuncia il femminicidio della sua sorella avvenuto nel 1990.