Come la devoluzione del Washington Post cambia le pubbliche relazioni

Il recente cambiamento nell’orientamento editoriale del Washington Post, sotto la proprietà di Jeff Bezos, ha suscitato preoccupazioni riguardo all’integrità dei media e al loro ruolo nella società. Come riportato da PR News, il noto linguista e critico dei media Noam Chomsky ha più volte evidenziato come i media privati, come il Washington Post, siano spesso influenzati dagli interessi aziendali, mettendo in discussione l’indipendenza editoriale. Bezos ha orientato la pubblicazione verso principi di libero mercato e libertà individuali, che, pur essendo legittimi, potrebbero influenzare la qualità del giornalismo, allontanandolo da un obiettivo di imparzialità e responsabilità. Questo cambiamento ha portato alla crescente sfiducia da parte del pubblico verso una testata storicamente simbolo di credibilità. Il Washington Post, che una volta veniva visto come un modello di giornalismo investigativo, ha visto scemare la sua reputazione a causa di modifiche editoriali che sembrano rispondere a interessi commerciali. Questa evoluzione non è isolata: anche altre testate come la CNN e il Wall Street Journal hanno subito riallineamenti editoriali, con la CNN che ha cercato di spostarsi verso una posizione più centrica e il Wall Street Journal che ha adottato una visione più conservatrice dopo l’acquisizione da parte di Rupert Murdoch nel 2007. Questi cambiamenti hanno avuto un impatto significativo sul ruolo delle pubbliche relazioni (PR). I professionisti delle PR si trovano ora a dover affrontare una crescente polarizzazione nel panorama mediatico, dove gli interessi aziendali e le preferenze politiche influenzano sempre di più le scelte editoriali. In questo contesto, le PR devono adattarsi per garantire che le informazioni siano presentate in modo corretto e trasparente, collaborando con giornalisti che operano in un ambiente in cui l’indipendenza è messa in discussione. Le PR, quindi, devono essere in grado di verificare meticolosamente le fonti e promuovere una comunicazione che rispetti i principi etici del giornalismo. In passato, i professionisti delle pubbliche relazioni sono stati definiti custodi della verità e della responsabilità nelle comunicazioni. Come affermato da Ivy Lee, uno dei fondatori della professione delle PR, l’obiettivo delle pubbliche relazioni non è quello di manipolare, ma di garantire la diffusione di informazioni accurate e verificate. Le PR devono quindi impegnarsi a lavorare con giornalisti affidabili e a sviluppare pratiche che sostengano la trasparenza e l’integrità. L’evoluzione del Washington Post rappresenta una sfida per i professionisti delle PR, che devono rispondere alla crescente difficoltà di navigare un panorama mediatico sempre più influenzato dalle dinamiche aziendali. Il loro compito è garantire che la comunicazione resti precisa, imparziale e che promuova una discussione informata basata su fatti verificabili.
Washington Post recluta giornalisti di destra per nuova linea editoriale

Il Washington Post, storicamente considerato uno dei più prestigiosi quotidiani statunitensi, sembra fare una scelta sempre più orientata verso il mondo conservatore. Secondo quanto riportato dal Daily Beast, l’editore del giornale, Will Lewis, avrebbe recentemente incontrato Eliana Johnson, caporedattrice di The Washington Free Beacon, un sito web di giornalismo politico dichiaratamente di destra. Questo incontro avrebbe avuto lo scopo di discutere su come reclutare più giornalisti con orientamenti conservatori per rafforzare la presenza di questi punti di vista all’interno della redazione. Questa mossa non è che l’ultimo passo di una strategia voluta dal proprietario del giornale, Jeff Bezos, che ha acquisito la testata nel 2013. Negli ultimi anni, infatti, Bezos sembra aver cercato di spostare il giornale verso posizioni politiche più vicine alla nuova amministrazione Trump. Questo orientamento è diventato ancora più evidente dopo la controversa decisione di impedire al giornale di sostenere la candidatura di Kamala Harris come vicepresidente nelle elezioni del 2024. Contestualmente, è stato annunciato che la sezione opinioni avrebbe scritto a sostegno e difesa del libero mercato e delle libertà personali. La situazione interna al Washington Post è tutt’altro che tranquilla. L’annuncio riguardante il nuovo orientamento ha portato a dimissioni importanti, tra cui quella del direttore delle opinioni, David Shipley. Inoltre, il giornale ha registrato una perdita di 75.000 abbonati, segno evidente di un cambiamento che ha suscitato preoccupazione tra molti lettori e membri del team. Fonti interne hanno dichiarato che c’è “molta confusione” mentre la dirigenza rimescola la redazione, cercando di ridisegnare la linea editoriale in una direzione più conservatrice. Alcuni dei giornalisti più esperti hanno scelto di abbandonare il giornale, descrivendo l’ambiente come sempre più difficile da giustificare, soprattutto per coloro che hanno sempre creduto nel valore del giornalismo tradizionale. Con una strategia editoriale sempre più rivolta al centro-destra, il futuro del Washington Post appare incerto, con la possibilità che la testata rischi di perdere ancora più lettori e di trovarsi sempre più polarizzata in un contesto politico e mediatico già molto divisivo.
La riforma di Bezos costa al Washington Post 75.000 lettori

Il Washington Post sta affrontando una crisi senza precedenti dopo l’annuncio di Jeff Bezos sulla riforma radicale della sezione delle opinioni del giornale. La decisione ha portato a una fuga di oltre 75.000 abbonati digitali, scatenando forti proteste interne ed esterne. Il cambiamento imposto dal fondatore di Amazon mira a orientare la linea editoriale verso una visione più libertaria, limitando la pubblicazione di opinioni contrastanti. Questo ha portato alle dimissioni immediate dell’editor di opinione David Shipley, che aveva tentato invano di fermare la riforma. Anche figure di spicco del giornale, come David Maraniss e l’ex direttore esecutivo Marty Baron, hanno condannato la decisione, definendola un pericoloso passo indietro per il giornalismo indipendente. L’ondata di cancellazioni di abbonamenti rappresenta il culmine di un malcontento iniziato mesi fa. Già a ottobre, Bezos aveva bloccato un endorsement del Washington Post per la candidata democratica Kamala Harris, provocando la cancellazione di oltre 300.000 abbonamenti. Secondo un dirigente del giornale, il Post ha cercato di sostituire questi lettori con offerte scontate, aumentando la tiratura di 400.000 copie. Tuttavia, il saldo netto delle perdite rimane significativo, con centinaia di migliaia di abbonati in meno rispetto a prima delle elezioni presidenziali. Durante la presidenza di Donald Trump, sotto la direzione di Marty Baron, il Washington Post si era distinto per un giornalismo incisivo e critico nei confronti dell’ex presidente, adottando il motto “La democrazia muore nell’oscurità”. Nel 2020, la pagina editoriale aveva pubblicato un articolo in cui avvertiva che “un secondo mandato di Trump potrebbe danneggiare l’esperimento democratico oltre ogni recupero”. Il nuovo orientamento imposto da Bezos segna quindi una netta rottura con questa tradizione. Nel suo memorandum pubblico, Bezos ha dichiarato che la sezione delle opinioni sarà riorientata a sostegno delle “libertà personali e del libero mercato”, escludendo punti di vista contrari. La decisione ha destato preoccupazione anche all’interno della redazione del Post. Il direttore esecutivo Matt Murray ha rassicurato i giornalisti che la copertura delle notizie non sarà influenzata dalla nuova linea editoriale. Tuttavia, il clima di sfiducia cresce. All’inizio di gennaio, Ann Telnaes, storica vignettista vincitrice del premio Pulitzer, ha lasciato il giornale dopo che una sua illustrazione satirica su Bezos e altri miliardari inginocchiati davanti a Trump era stata censurata. La sua uscita ha innescato un’ulteriore ondata di cancellazioni. Parallelamente, il legame tra Bezos e Trump si è rafforzato. L’ex presidente ha confermato di aver cenato con Bezos poco dopo il suo annuncio. Inoltre, il fondatore di Amazon ha donato 1 milione di dollari al fondo per l’insediamento di Trump, suscitando interrogativi sui suoi reali intenti. Bezos ha difeso le sue scelte dichiarando che il pubblico considera i media “di parte” e che la sua riforma punta a rafforzare la credibilità del giornale. Tuttavia, il suo coinvolgimento in contratti governativi multimiliardari con Amazon e Blue Origin solleva dubbi sull’indipendenza editoriale della testata. I concorrenti del Washington Post hanno colto l’opportunità per rafforzare la loro posizione. The Guardian ha lanciato una campagna di raccolta fondi enfatizzando la propria indipendenza dai miliardari, mentre la curatrice delle opinioni del New York Times, Kathleen Kingsbury, ha sottolineato l’importanza di un giornalismo libero e autorevole. Nel frattempo, all’interno del Post cresce il timore che l’influenza di Bezos possa compromettere l’integrità della testata, spingendo ulteriori lettori e giornalisti a prendere le distanze.
Il Washington Post cambia missione: da guardiano della democrazia a narratore per tutta l’America

Il Washington Post, storica testata americana, ha avviato un cambiamento strategico che ne ridefinisce l’identità. Dalla proclamazione del 2017, “Democracy Dies in Darkness” (La democrazia muore nell’oscurità), il giornale si era imposto come un punto di riferimento per il giornalismo investigativo e la denuncia degli abusi di potere. Ora, con la dichiarazione interna “Riveting Storytelling for All of America” (Narrazione avvincente per tutta l’America), si propone di parlare a un pubblico più ampio, inclusivo e diversificato. Questa nuova direzione non sostituisce lo slogan originale, che rimane un simbolo pubblico, ma traccia una rotta per il futuro del giornale. La strategia è stata annunciata da Suzi Watford, responsabile della strategia aziendale, che ha sottolineato la necessità di combinare uno spirito investigativo con fonti credibili e di raccontare storie di grande impatto in formati che rispondano alle esigenze moderne. L’ambizione di Bezos: un giornale per tutta la nazione Dietro questa trasformazione c’è l’influenza di Jeff Bezos, proprietario del Washington Post dal 2013. Bezos ha più volte espresso il desiderio di ampliare la platea dei lettori, raggiungendo i colletti blu delle zone rurali, tradizionalmente più conservatrici. L’obiettivo è rendere il Post una piattaforma capace di parlare a tutto il Paese, superando le divisioni ideologiche. Tra i piani per raggiungere questo traguardo, vi sono: espansione dei contenuti di opinione, accogliendo punti di vista più vari e diversificati. distinzione più netta tra informazione e opinione, per garantire maggiore trasparenza. uso di intelligenza artificiale per personalizzare i contenuti e migliorare l’esperienza utente. Obiettivo ambizioso: 200 milioni di utenti La visione di Bezos è ambiziosa. L’obiettivo dichiarato è raggiungere 200 milioni di utenti paganti, un traguardo che la dirigenza ha definito un “Big Hairy Audacious Goal” (BHAG), ovvero un obiettivo audace e visionario. Per il momento, però, il Post è ben lontano da questa meta: attualmente conta meno di 3 milioni di abbonati digitali, contro gli 11 milioni del rivale New York Times. Per raggiungere il target, il Post intende esplorare nuove forme di monetizzazione, sfruttando i milioni di lettori che accedono ai contenuti tramite piattaforme come Apple News, social media e podcast. Tuttavia, questi utenti sono difficili da convertire in ricavi, poiché gran parte dei guadagni pubblicitari viene assorbita da intermediari. Una redazione in crisi Nonostante le grandi ambizioni, il clima interno al Washington Post è teso. Dal 2023, il giornale ha registrato perdite significative, pari a 77 milioni di dollari, e affronta una profonda crisi di fiducia tra i dipendenti. La nomina del CEO Will Lewis, criticato per i suoi legami con testate coinvolte in scandali, ha provocato malumori in redazione. Più di 400 dipendenti hanno firmato una lettera indirizzata a Bezos, esprimendo preoccupazione per le decisioni manageriali che, a loro dire, hanno compromesso l’integrità del giornale e spinto molti colleghi di spicco a lasciare. Il ruolo dell’AI e i principi fondatori La presentazione della nuova missione, guidata da Suzi Watford, descrive l’intelligenza artificiale come un elemento centrale per il futuro del Post. L’obiettivo è trasformare il giornale in una piattaforma dinamica, capace di offrire notizie e approfondimenti in modo tempestivo e personalizzato. Nonostante il focus tecnologico, il Post rimane fedele ai principi enunciati nel 1935 da Eugene Meyer, storico proprietario del giornale. Tra questi: dire sempre la verità, servire i lettori e mantenere l’indipendenza dai proprietari.
Washington Post, Bezos sospende l’endorsement a Kamala Harris

Il testa a testa tra Donald Trump e Kamala Harris non solo accende il dibattito politico negli Stati Uniti, ma divide anche i miliardari americani in modi inaspettati. Tra i sostenitori di Trump spicca Elon Musk, CEO di Tesla e SpaceX, che ha investito decine, forse centinaia, di milioni di dollari a favore dell’ex presidente, utilizzando anche il suo social network, X, per sostenere la campagna di Trump e criticare Harris. Tim Walz, braccio destro della Harris, ha dichiarato che Musk sembra ormai il vero “running mate” di Trump, più che JD Vance, confermando così l’importanza del magnate per la campagna repubblicana. All’estremo opposto si trova Jeff Bezos, fondatore di Amazon e proprietario del Washington Post, tradizionalmente progressista. Trump ha sempre considerato Bezos un avversario, ma recentemente il miliardario ha manifestato una posizione inaspettatamente morbida nei suoi confronti, elogiando Trump per la gestione di una crisi e imponendo al Washington Post di non sostenere la Harris, rompendo una tradizione di endorsement democratico che durava da decenni. Questo cambio di posizione è stato interpretato come un tentativo di evitare possibili ritorsioni da parte di Trump qualora tornasse al potere. Diversi altri miliardari, che in passato erano critici nei confronti di Trump, sono ora silenziosi. Tra questi Warren Buffett, Sergey Brin di Google, Steve Ballmer ex CEO di Microsoft e Ray Dalio di Bridgewater. Alcuni, come Mark Zuckerberg di Meta e Jamie Dimon di JPMorgan, hanno cercato di mantenere una posizione neutrale, pur rimanendo in parte democratici. Dimon ha chiarito di non voler prendere posizione apertamente, nonostante la sua moglie sostenga la Harris. Il mondo finanziario di Wall Street sembra preferire Trump, attratto dalla promessa di tagli fiscali per le aziende. Tuttavia, Forbes rivela che la lista dei donatori miliardari di Harris è più ampia, con 81 donatori contro i 52 di Trump. Tra i principali sostenitori democratici si annoverano Bill Gates, Reid Hoffman di LinkedIn, Reed Hastings di Netflix, Eric Schmidt ex CEO di Google, George Soros e Michael Bloomberg. Anche figure della cultura popolare, come Taylor Swift, Bruce Springsteen, Steven Spielberg e Magic Johnson, appoggiano Harris. La decisione di Bezos di sospendere l’endorsement del Washington Post ha causato una rivolta interna nella redazione. Giornalisti di punta hanno espresso indignazione, con un veterano che ha persino dato le dimissioni in segno di protesta. Secondo l’editorialista Robert Kagan, il cambio di rotta rappresenta un “inginocchiamento preventivo” nei confronti di Trump e delle sue dichiarate intenzioni di attaccare i media indipendenti. Anche il Los Angeles Times, di proprietà del miliardario Patrick Soon-Shiong, ha adottato una politica simile per evitare potenziali ritorsioni. Ex cronisti del Washington Post, come Bob Woodward e Carl Bernstein, critici per la decisione di Bezos, affermano che sospendere l’endorsement a ridosso delle elezioni ignora le prove raccolte dalla testata sulla minaccia che una seconda presidenza Trump potrebbe rappresentare per la democrazia americana. Questo gesto segna una fase critica per la libertà di stampa negli Stati Uniti, rivelando il potere dei miliardari nell’influenzare il panorama mediatico e il processo elettorale.