La riforma di Bezos costa al Washington Post 75.000 lettori

Washington Post Bezos

Il Washington Post sta affrontando una crisi senza precedenti dopo l’annuncio di Jeff Bezos sulla riforma radicale della sezione delle opinioni del giornale. La decisione ha portato a una fuga di oltre 75.000 abbonati digitali, scatenando forti proteste interne ed esterne. Il cambiamento imposto dal fondatore di Amazon mira a orientare la linea editoriale verso una visione più libertaria, limitando la pubblicazione di opinioni contrastanti. Questo ha portato alle dimissioni immediate dell’editor di opinione David Shipley, che aveva tentato invano di fermare la riforma. Anche figure di spicco del giornale, come David Maraniss e l’ex direttore esecutivo Marty Baron, hanno condannato la decisione, definendola un pericoloso passo indietro per il giornalismo indipendente. L’ondata di cancellazioni di abbonamenti rappresenta il culmine di un malcontento iniziato mesi fa. Già a ottobre, Bezos aveva bloccato un endorsement del Washington Post per la candidata democratica Kamala Harris, provocando la cancellazione di oltre 300.000 abbonamenti. Secondo un dirigente del giornale, il Post ha cercato di sostituire questi lettori con offerte scontate, aumentando la tiratura di 400.000 copie. Tuttavia, il saldo netto delle perdite rimane significativo, con centinaia di migliaia di abbonati in meno rispetto a prima delle elezioni presidenziali. Durante la presidenza di Donald Trump, sotto la direzione di Marty Baron, il Washington Post si era distinto per un giornalismo incisivo e critico nei confronti dell’ex presidente, adottando il motto “La democrazia muore nell’oscurità”. Nel 2020, la pagina editoriale aveva pubblicato un articolo in cui avvertiva che “un secondo mandato di Trump potrebbe danneggiare l’esperimento democratico oltre ogni recupero”. Il nuovo orientamento imposto da Bezos segna quindi una netta rottura con questa tradizione. Nel suo memorandum pubblico, Bezos ha dichiarato che la sezione delle opinioni sarà riorientata a sostegno delle “libertà personali e del libero mercato”, escludendo punti di vista contrari. La decisione ha destato preoccupazione anche all’interno della redazione del Post. Il direttore esecutivo Matt Murray ha rassicurato i giornalisti che la copertura delle notizie non sarà influenzata dalla nuova linea editoriale. Tuttavia, il clima di sfiducia cresce. All’inizio di gennaio, Ann Telnaes, storica vignettista vincitrice del premio Pulitzer, ha lasciato il giornale dopo che una sua illustrazione satirica su Bezos e altri miliardari inginocchiati davanti a Trump era stata censurata. La sua uscita ha innescato un’ulteriore ondata di cancellazioni. Parallelamente, il legame tra Bezos e Trump si è rafforzato. L’ex presidente ha confermato di aver cenato con Bezos poco dopo il suo annuncio. Inoltre, il fondatore di Amazon ha donato 1 milione di dollari al fondo per l’insediamento di Trump, suscitando interrogativi sui suoi reali intenti. Bezos ha difeso le sue scelte dichiarando che il pubblico considera i media “di parte” e che la sua riforma punta a rafforzare la credibilità del giornale. Tuttavia, il suo coinvolgimento in contratti governativi multimiliardari con Amazon e Blue Origin solleva dubbi sull’indipendenza editoriale della testata. I concorrenti del Washington Post hanno colto l’opportunità per rafforzare la loro posizione. The Guardian ha lanciato una campagna di raccolta fondi enfatizzando la propria indipendenza dai miliardari, mentre la curatrice delle opinioni del New York Times, Kathleen Kingsbury, ha sottolineato l’importanza di un giornalismo libero e autorevole. Nel frattempo, all’interno del Post cresce il timore che l’influenza di Bezos possa compromettere l’integrità della testata, spingendo ulteriori lettori e giornalisti a prendere le distanze.

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