Cambi in vista tra i quotidiani degli Angelucci: ecco le novità

A Bologna, durante l’Assemblea di Confindustria del 27 maggio, alla quale ha preso parte anche la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, si è diffusa tra i giornalisti la notizia di una riorganizzazione interna nelle testate editoriali del gruppo Angelucci, in fase avanzata di definizione. Secondo quanto emerso da fonti qualificate, l’attuale direttore de Il Giornale, Alessandro Sallusti, dovrebbe passare al ruolo di direttore editoriale, mentre la direzione del quotidiano sarebbe affidata a Tommaso Cerno, attualmente alla guida de Il Tempo. Contestualmente, alla direzione de Il Tempo dovrebbe arrivare Daniele Capezzone, che lascerebbe così la direzione editoriale di Libero. Tale posizione verrebbe quindi assunta da Vittorio Feltri, già in passato alla guida del quotidiano e attualmente direttore editoriale de Il Giornale, che a sua volta la lascerebbe libera per Sallusti. Fuori da questo riassetto organizzativo rimarrebbero per ora Mario Sechi, confermato alla direzione di Libero, e Osvaldo De Paolini, alla guida del settimanale Moneta, testata a contenuto economico-finanziario lanciata di recente e distribuita in allegato ai quotidiani del gruppo, ma anche in edizione autonoma. Parallelamente al giro di nomine, il gruppo editoriale Angelucci prevede anche un’ampia riorganizzazione tecnica della struttura gestionale delle proprie testate, con interventi volti a ridefinire ruoli, processi produttivi e dinamiche interne. [Nella foto, da sinistra in alto: Alessandro sallusti (foto Ansa), Mario Sechi (foto Ansa), Tommaso Cerno (foto Ansa); sotto, da sinistra: Vittorio Feltri (foto Ansa), Daniele Capezzone (foto Ansa) e Osvaldo De Paolini]
Corriere della Sera, approvata la nuova Carta dei giornalisti: decalogo per un giornalismo indipendente

Nel maggio 2025, in occasione dei 150 anni dalla fondazione del Corriere della Sera, le giornaliste e i giornalisti della testata hanno approvato all’unanimità la Carta dei doveri dei giornalisti del Corriere della Sera, un documento che rinnova il patto di fiducia con i lettori e stabilisce linee guida per garantire un’informazione autorevole, trasparente e indipendente. La Carta, intitolata “Informazione, Pubblicità e Marketing”, si propone come bussola deontologica per distinguere chiaramente tra contenuti giornalistici e messaggi pubblicitari, adattandosi alle evoluzioni del panorama mediatico e alle nuove modalità di comunicazione digitale. I giornalisti del Corriere della Sera: Si riconoscono pienamente in quanto disposto dall’articolo 44 del Contratto nazionale di lavoro e vigileranno sul suo rispetto: “Allo scopo di tutelare il diritto del pubblico a ricevere una corretta informazione, distinta e distinguibile dal messaggio pubblicitario, e non lesiva degli interessi dei singoli, i messaggi pubblicitari devono essere chiaramente individuabili come tali quindi distinti, anche attraverso apposita indicazione dai testi giornalistici”. Prendono atto dell’affermarsi di forme di informazione sponsorizzata, veicolata tramite articoli, podcast, eventi, webinar. I giornalisti non saranno disponibili ad apporre la propria firma su questi progetti e faranno da garanti di fronte al lettore rispetto alla qualità e all’indipendenza dell’informazione. Non lasciano condizionare la propria attività dalle pressioni provenienti da esponenti del marketing aziendale e della pubblicità (che in alcun modo possono relazionarsi direttamente con i redattori): dalla richiesta di visionare gli articoli prima della pubblicazione alle interviste imposte. Si impegnano a rifuggire le collaborazioni dirette con sponsor o aziende investitrici, eliminando qualsiasi possibilità di conflitto di interesse. Nel rispetto della deontologia professionale si astengono dal postare sui social – anche sui profili personali – commenti o immagini riconducibili a prodotti o aziende collegate e collegabili a sponsorizzazioni. A tutela della professione e delle competenze interne rivendicano la gestione editoriale dei contenuti giornalistici pubblicati sul giornale così come la supervisione degli account social a cui è legata l’immagine della testata. Articoli, lanci web via social, podcast e video articoli non possono in alcuna misura essere ideati, realizzati e modificati da figure professionali diverse da quelle giornalistiche. Vigilano affinché non vengano inseriti all’interno degli articoli online link pubblicitari che rimandano a portali di acquisto di prodotti. In caso invece di branded content il link può sussistere ma la sponsorizzazione deve essere evidenziata in testa al contenuto, secondo la già citata logica della massima trasparenza. Si impegnano a non accettare regali esplicitamente o indirettamente legati alla pubblicazione di contenuti sui canali della testata. Valutano, come strumento ultimo di tutela della propria immagine professionale e correttezza deontologica, la possibilità di ritirare la firma su articoli per cui non siano rispettati i criteri qui elencati. Oltre a segnalare immediatamente al Comitato di redazione o ai fiduciari ogni tentativo di pressione da chicchessia che possa mettere in discussione i principi qui elencati. Si impegnano, attraverso gli organismi sindacali, a segnalare all’Ordine dei Giornalisti tutte le violazioni deontologiche eventualmente riscontrate sul giornale e sulle piattaforme riconducibili al Corriere della Sera. Con questa Carta si intende ribadire con forza un concetto semplice: l’informazione deve essere informazione, la pubblicità deve essere pubblicità. Il nostro ruolo in qualità di giornalisti del «Corriere della Sera» è e resta il racconto di ciò che accade nel mondo attraverso differenti punti di vista ma sempre con onestà intellettuale. Questo atteggiamento di assoluto rispetto delle regole deontologiche e di trasparenza nei confronti dei lettori dovrà riguardare l’offerta del «Corriere della Sera» in tutte le sue molteplici forme (carta, web, video, podcast, newsletter), compresa l’organizzazione di eventi. (In foto, Luciano Fontana, direttore del Corriere della Sera dal 2015)
Corriere della Sera lancia “le lezioni d’autore” per prepararsi alla maturità

È online dal 21 maggio il nuovo canale digitale del Corriere della Sera, una piattaforma di contenuti video pensata per chi vuole approfondire materie scolastiche, temi culturali e discipline scientifiche. Il progetto, che prende il nome di “Lezioni d’autore”, nasce con l’obiettivo di offrire uno strumento autorevole in vista dell’esame di maturità, ma si rivolge anche a insegnanti, universitari e lettori interessati a percorsi di formazione culturale fuori dai tradizionali contesti didattici. I contenuti video ospitati sul nuovo canale coprono una vasta gamma di ambiti: dalla filosofia alla fisica teorica, dalla storia contemporanea alla letteratura antica e moderna, fino a matematica e scienze naturali. Le lezioni sono tenute da docenti universitari, scrittori e giornalisti selezionati tra le firme del quotidiano. Ogni contributo è stato pensato per garantire autorevolezza, chiarezza espositiva e accessibilità a un pubblico ampio. Tra i video già disponibili figurano le lezioni di Maurizio Ferraris su pensatori fondamentali del pensiero moderno, gli approfondimenti storici di Paolo Mieli ed Ernesto Galli Della Loggia, e i moduli letterari realizzati da studiosi e autori come Silvia Avallone, Sandro Veronesi, Alessandro Piperno, Emanuele Trevi, Mauro Covacich e Alberto Casadei. La sezione classica è curata da Walter Lapini e Marco Bonazzi, con interventi di Luciano Canfora. Sul fronte scientifico, Francesca Vidotto introduce ai concetti base della fisica teorica, mentre Telmo Pievani illustra l’evoluzione biologica da Darwin alle crisi ecologiche. La matematica è spiegata da Edoardo Balistri, già premiato alle Olimpiadi internazionali. L’accesso al canale è incluso negli abbonamenti Naviga+ e Tutto+, e disponibile anche per chi aderisce all’offerta “Tutto”, acquistabile tramite la Carta del Docente o la Carta della Cultura e del Merito. Il lancio è accompagnato da una promozione promozionale: 12 euro per due anni, rispetto al prezzo intero annuale di 99,99 euro. Il nuovo spazio digitale si inserisce nel percorso già tracciato dal giornale con iniziative come “A scuola con Corriere” e CampBus, confermando l’attenzione verso il mondo scolastico e l’educazione permanente. La promozione è sostenuta da una campagna multicanale, firmata dall’agenzia Pic Nic e diffusa attraverso le testate e i media del gruppo RCS.
Gruppo Sae acquista Paese Sera, debutto a ottobre

Il Gruppo Sae ha firmato oggi, martedì 20 maggio, il contratto per l’acquisizione della testata Paese Sera, con un’operazione conclusa nella sede romana del gruppo. A cedere il marchio storico della stampa italiana è stato Massimiliano Picardi, imprenditore che aveva mantenuto in vita la testata cartacea e il relativo sito web. L’accordo rappresenta un passo strategico nell’espansione dell’editore, già alla guida de Il Tirreno, La Nuova Sardegna, Gazzetta di Modena, Gazzetta di Reggio, La Nuova Ferrara e, in fase di chiusura di acquisizione, anche della Provincia Pavese. Secondo il piano editoriale illustrato internamente dal presidente Alberto Leonardis, Paese Sera diventerà, a partire dal mese di ottobre, la testata nazionale del gruppo e verrà utilizzata come dorso comune per tutti i quotidiani locali. Il nuovo giornale sarà presente anche in edicola, con una redazione propria operativa a Roma e Milano, composta prevalentemente da giornalisti under 35, in un modello editoriale ispirato a quello già adottato da testate digitali come Open. L’incarico di direttore, secondo indiscrezioni emerse in ambienti vicini al gruppo, sarà affidato a Luciano Tancredi, attualmente direttore editoriale di Sae. Tancredi sarà inoltre impegnato nella direzione ad interim della Provincia Pavese, testata in via di integrazione nel gruppo. Paese Sera adotterà un formato editoriale ibrido tra il Quotidiano Nazionale del gruppo Riffeser e L’Altravoce dell’Italia, dorso nazionale del Quotidiano del Sud, con una linea che coniugherà cronaca, approfondimenti e commenti firmati da nomi di rilievo. Il primo nome confermato tra i collaboratori è quello di Sergio Luciano, che seguirà l’area economica. Il rilancio della testata, fondata nel dopoguerra e rimasta a lungo simbolo della sinistra giornalistica italiana, segna un ritorno nel panorama informativo nazionale, con un progetto che intende valorizzare l’eredità storica del marchio e al contempo sperimentare nuove formule di integrazione tra carta e digitale. L’operazione avviene in un momento di trasformazione per il Gruppo Sae, impegnato nella razionalizzazione delle redazioni locali e nel rafforzamento della propria presenza editoriale a livello nazionale. (In foto, Alberto Leonardis, presidente gruppo Sae)
Tg1 primo sui social. Dominano femminicidi e cronaca nera ma non la morte del Papa

Il Tg1 si conferma al vertice della classifica dei programmi tv d’informazione più performanti sui social media per il mese di aprile 2025, secondo l’analisi condotta da Sensemakers per Primaonline. Il telegiornale diretto da Gianmarco Chiocci ha ottenuto 71,5 milioni di video views e 2,8 milioni di interazioni, segnando un incremento rispettivamente del 18% e del 33% rispetto al mese precedente. La pubblicazione su TikTok ha garantito circa 19mila interazioni medie per contenuto, a fronte di una leggera flessione nella frequenza dei post (-12%). La seconda posizione spetta a Pomeriggio Cinque, condotto da Myrta Merlino, con 60,5 milioni di video views e 2,4 milioni di interazioni. Il programma ha modificato la propria strategia visiva su TikTok, rendendo più riconoscibili i contenuti grazie a elementi grafici uniformi, una scelta che ha portato a un miglioramento delle performance sulla piattaforma. Al terzo posto si colloca il TgLa7 di Enrico Mentana, che registra 43,1 milioni di video views e 1,7 milioni di interazioni. Il telegiornale ha beneficiato dell’attenzione generata da eventi di forte impatto mediatico, consolidando la sua posizione come punto di riferimento nelle fasi di emergenza. Nel mese segnato dalla morte di Papa Francesco, avvenuta il 21 aprile, e dal suo funerale mediaticamente rilevante del 26, non sono stati questi eventi a dominare i contenuti più visti online. A ottenere maggiore attenzione sui social è stata la cronaca nera, in particolare i casi di femminicidio. Tra i contenuti più performanti figura, su TikTok, l’intervista ai genitori di Ilaria Sula, che ha raggiunto oltre 2 milioni di interazioni. “Fuori dal coro” di Mario Giordano, sebbene in lieve calo, si posiziona al quarto posto nelle due principali metriche e precede il Tg3 e Quarto Grado. Quest’ultimo ha guadagnato rilevanza con la riapertura del caso di Garlasco, confermandosi uno dei programmi più visti di Rete4, anche grazie alla competenza del suo conduttore Gianluigi Nuzzi su temi vaticani. In classifica compaiono anche nuovi ingressi: “In mezz’ora” di Rai3 occupa la decima e undicesima posizione, mentre “Mi manda Rai Tre”, grazie alla distribuzione su Facebook, raggiunge la tredicesima posizione per video views. A livello di gruppi editoriali, Mediaset domina per numero di programmi presenti nel ranking (8 su 15), seguita da Rai (5) e La7 (2). Mediaset è anche in testa per interazioni con 6 programmi in classifica, contro i 5 della Rai e i 4 di La7. Nel ranking dei Best Performing Post, i formati si diversificano: oltre ai video, emergono contenuti fotografici e altri formati. Tra i più visti su TikTok anche i contenuti su Aurora, tredicenne protagonista di un caso di cronaca trattato da Pomeriggio 5, e su Facebook la storia di Sara Campanella, sempre legata alla cronaca nera. “Fuori dal coro” riscuote interesse con video dedicati al tema dell’autodifesa domestica. Il mese di aprile, denso di eventi politici e istituzionali come la visita di Giorgia Meloni alla Casa Bianca, il faccia a faccia tra Trump e Zelensky, e le celebrazioni del 25 aprile, ha visto una crescita generale dei numeri: +19% di video views e +27% di interazioni totali rispetto a marzo, confermando il buon momento dei brand televisivi d’informazione sulla scena social. (In foto, Gianmarco Chiocci, direttore del Tg1)
Joe Kahn (New York Times): “Su Trump un articolo ogni 30 minuti”

Il direttore esecutivo del New York Times, Joe Kahn, ha dichiarato che la testata ha pubblicato in media un articolo su Donald Trump ogni mezz’ora negli ultimi mesi. L’affermazione è arrivata nel corso del terzo Sir Harry Evans Investigative Journalism Summit, durante un confronto sul ruolo dei media nell’epoca della presidenza Trump. Rispondendo alla domanda se l’ex presidente stesse deliberatamente sovrastando l’agenda mediatica, Kahn ha precisato che i giornalisti devono confrontarsi con la realtà: “Il presidente degli Stati Uniti sarà sempre una notizia, qualunque cosa faccia”. Durante il dibattito, moderato da Jon Sopel del podcast The News Agents, è stato evidenziato come Trump continui a generare una quantità massiccia di contenuti, tra dichiarazioni pubbliche e proposte, come la riapertura di Alcatraz, la promessa di 1.000 dollari per il rimpatrio degli immigrati clandestini, e l’ipotesi di trasferire il draft della NFL a Washington DC. Sopel ha chiesto se tutto ciò contribuisca a creare un “disturbo da deficit di attenzione” nell’agenda dell’informazione. Alessandra Galloni, direttrice editoriale di Reuters, ha ribadito che la copertura mediatica su Trump non è eccessiva, ma necessaria: “Sta ristrutturando l’ordine economico e geopolitico mondiale. E quindi dobbiamo occuparcene”. Kahn ha concordato, sottolineando che storie come l’ipotetica deportazione in Libia restano una priorità per la stampa. Ha aggiunto che il ritmo della copertura giornalistica su Trump rimane alto, con un articolo ogni 30 minuti in media, giorno e notte. Un ulteriore tema del panel ha riguardato l’accesso della stampa alla Casa Bianca. Sopel ha chiesto a Galloni della decisione di estendere il pool stampa da poche agenzie selezionate a circa 30 organizzazioni, rendendo più difficile la presenza regolare a bordo dell’Air Force One. Galloni ha spiegato che molte redazioni, a causa dei costi, si affidano sempre più alle agenzie come Reuters per la copertura delle notizie ufficiali. Brian Stelter, analista della CNN, ha sostenuto che l’informazione riesce ancora a raggiungere il pubblico, anche in un contesto molto rumoroso. Ha osservato che, nonostante la mole di notizie, gli indici di gradimento di Trump sono comunque variati, segno che la copertura ha ancora un impatto. Kahn ha ribadito la necessità di rafforzare il giornalismo locale e investigativo, e di puntare su notizie verificate e rilevanti. Durante il summit, Kahn ha citato un caso concreto in cui un articolo del New York Times ha portato Trump a bloccare un briefing del Pentagono per Elon Musk su una possibile guerra con la Cina. L’episodio dimostrerebbe che un’inchiesta giornalistica può ancora incidere, anche in tempo reale, sulle decisioni dell’amministrazione. Kahn ha anche discusso della neutralità politica del quotidiano, affermando che il New York Times ha numerosi abbonati in stati e contee a maggioranza repubblicana. Il quotidiano punta sempre più su contenuti fruibili in formato video, newsletter e social media, avvicinando i lettori con un linguaggio più colloquiale e diretto. Infine, Kahn ha parlato dell’indipendenza economica e istituzionale del New York Times, definendola un punto di forza unico. La testata non riceve finanziamenti statali, né entrate pubblicitarie governative, e non è controllata da gruppi industriali o miliardari con interessi terzi. La proprietà familiare garantisce, secondo Kahn, una linea editoriale autonoma e focalizzata esclusivamente sulla missione giornalistica. (In foto, Joe Kahn, direttore esecutivo del New York Times)
Trump vola in Medio Oriente senza stampa a bordo

L’Associazione dei corrispondenti della Casa Bianca ha espresso profonda preoccupazione per la decisione dell’amministrazione Trump di impedire ai giornalisti di viaggiare con il presidente a bordo dell’Air Force One durante la sua missione in Medio Oriente. La partenza è avvenuta senza alcun membro della stampa a bordo, contrariamente alla prassi consolidata in cui un gruppo selezionato di giornalisti accompagna il capo di Stato nei viaggi ufficiali. All’interno dell’aereo presidenziale non erano presenti rappresentanti di testate di rilievo internazionale come Associated Press, Bloomberg e Reuters. Tradizionalmente, questi reporter hanno il compito di garantire una copertura tempestiva e imparziale degli spostamenti e delle dichiarazioni del presidente, fornendo aggiornamenti accessibili a milioni di cittadini attraverso testate in tutto il mondo. In una nota ufficiale, l’Associazione dei corrispondenti ha dichiarato che questa esclusione rappresenta un “danno per ogni americano che merita di sapere cosa sta facendo il suo leader eletto, il più rapidamente possibile”. La mancanza di copertura diretta da parte di giornalisti indipendenti solleva interrogativi sul rispetto dei principi di trasparenza e sull’accesso equo all’informazione riguardo alle attività presidenziali. L’episodio si inserisce in un contesto di tensioni prolungate tra la Casa Bianca e alcune testate giornalistiche. In precedenza, l’Associated Press era stata esclusa dalla copertura di eventi minori dopo essersi rifiutata di adottare la denominazione “Golfo d’America” al posto di “Golfo del Messico”, come richiesto in un ordine esecutivo firmato dal presidente Trump. La disputa legale che ne è seguita ha portato l’amministrazione ad adottare una nuova politica sui media, introducendo una rotazione tra giornalisti delle agenzie e della stampa scritta per l’accesso a eventi presidenziali a bordo dell’Air Force One e nello Studio Ovale. Nel contesto di questa rotazione, un giornalista di Reuters era stato autorizzato ad accompagnare il presidente in occasione del funerale di Papa Francesco. Tuttavia, il viaggio in Medio Oriente ha segnato un cambio di rotta, con l’esclusione totale dei reporter. La portavoce della Casa Bianca, Karoline Leavitt, non ha risposto alle richieste di commento inviate dai media. (In foto, Trump mentre sale a bordo dell’Air Force One. @AP Photo/Manuel Balce Ceneta)
Elezione Ordine dei Giornalisti: Bartoli al secondo mandato, Caroprese vice

Carlo Bartoli è stato confermato presidente del Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti martedì 6 maggio 2025, durante la seduta di insediamento del nuovo Consiglio nazionale che si è svolta nella sede di via Sommacampagna a Roma. Bartoli ha ottenuto 47 voti su 60 consiglieri; 11 le schede bianche, mentre un voto è andato rispettivamente a Gianluca Amadori e Elena Golino. Il presidente, al suo secondo mandato, ha evidenziato come l’aumento del consenso rispetto alla precedente elezione – avvenuta con 33 voti – rappresenti un segnale di sostegno al percorso già intrapreso. Contestualmente è stato eletto il nuovo vicepresidente: Francesco Caroprese, che ha ricevuto 50 voti. Già vicepresidente dell’Ordine dei giornalisti della Lombardia, Caroprese aveva già fatto parte del Consiglio nazionale tra il 2014 e il 2017. La sua elezione rafforza la continuità istituzionale all’interno dell’organismo di categoria. Sono stati inoltre confermati Paola Spadari nel ruolo di Segretaria generale, con 41 voti, e Gabriele Dossena in quello di tesoriere, con 46 voti. Entrambi già in carica, proseguiranno il loro incarico anche per il nuovo mandato, contribuendo alla stabilità della struttura operativa. Nel corso della stessa seduta, il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti ha proceduto alla nomina del nuovo esecutivo, con la partecipazione di membri sia tra i professionisti che tra i pubblicisti. Per i primi sono stati confermati Gianluca Amadori e Andrea Ferro, già presenti nel precedente esecutivo, e si aggiunge il neo eletto Piero Ricci, ex presidente dell’Ordine dei giornalisti della Puglia. Per la componente dei pubblicisti sono stati confermati Giuseppe Murru e Cristina Deffeyes. Rinnovata anche la composizione del collegio dei revisori dei conti, dove sono stati confermati Giancarlo Ghirra, Antonella Monaco e Francesca Piccioli. (In foto, Bartoli e Caroprese – @odg.it)
Trump blocca fondi a NPR e PBS per propaganda politica

Il presidente Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo per bloccare i finanziamenti federali destinati a NPR (National Public Radio) e PBS (Public Broadcasting Service), due delle principali emittenti pubbliche statunitensi. Il provvedimento obbliga la Corporation for Public Broadcasting (CPB), organismo incaricato di distribuire i fondi pubblici al sistema radiotelevisivo, a sospendere i trasferimenti economici già in corso e a rifiutare futuri finanziamenti “nei limiti massimi consentiti dalla legge”. L’ordine accusa NPR e PBS di utilizzare risorse statali per “diffondere contenuti politicamente orientati”. Per questo, la Casa Bianca ha anche inoltrato al Congresso una richiesta ufficiale per revocare oltre 1 miliardo di dollari già assegnati alla CPB per i prossimi due anni. La CPB, istituita dal Congresso nel 1967, è un ente privato senza scopo di lucro che riceve fondi pubblici per sostenere il servizio pubblico radiotelevisivo, in particolare in territori meno coperti dal mercato commerciale. Le regole attuali prevedono che i finanziamenti vengano stanziati con due anni di anticipo, misura pensata per tutelare l’autonomia delle emittenti da pressioni politiche dirette. Questo meccanismo solleva dubbi sull’effettiva applicabilità immediata dell’ordine. Le reazioni non si sono fatte attendere. NPR ha diffuso un comunicato ufficiale in cui difende la propria indipendenza editoriale e avverte che il taglio dei fondi colpirebbe centinaia di stazioni locali, riducendo l’accesso a notizie verificate, programmi culturali e comunicazioni di emergenza. PBS, tramite la direttrice esecutiva Paula Kerger, ha chiarito che circa il 15% del proprio bilancio proviene da fondi federali, mentre la maggior parte arriva da sponsor privati, donatori e fondazioni locali. Secondo analisti citati da fonti stampa americane, il provvedimento si inserisce in una più ampia strategia della Casa Bianca per rivedere il ruolo dei media pubblici negli Stati Uniti, in un contesto di crescente tensione tra l’amministrazione e le testate ritenute critiche verso le politiche del governo. Resta incerto se il Congresso accoglierà la richiesta di revoca dei fondi e quale sarà il destino finanziario delle emittenti coinvolte. (Credits foto: Primaonline)
New York Times e CBS sotto accusa per inferenze elettorali. Il Times replica a Trump: “Avanti con le domande”

Donald Trump ha lanciato nuovi attacchi contro due tra le più note realtà mediatiche statunitensi, puntando il dito contro il programma “60 Minutes” della CBS e il New York Times, e ventilando una possibile azione legale contro quest’ultimo. In un messaggio pubblicato su Truth Social, Trump ha definito “un vero vincitore” il procedimento legale già avviato contro Paramount Global, proprietaria della CBS, per presunta manipolazione di un’intervista concessa alla trasmissione nell’ottobre scorso dalla vicepresidente Kamala Harris. Secondo Trump, la versione trasmessa avrebbe favorito la candidata democratica, violando i principi di imparzialità e alterando l’impatto sull’opinione pubblica in vista delle elezioni. Nel messaggio, Trump ha accusato 60 Minutes di aver orchestrato una “gigantesca frode ai danni del popolo americano”, citando tra i soggetti danneggiati anche la Commissione Elettorale Federale e la Federal Communications Commission (FCC). Ha inoltre ribadito che l’operato della rete televisiva sarà oggetto di ulteriori azioni legali. Sempre nello stesso intervento su Truth Social, il presidente si è scagliato contro il New York Times, etichettandolo nuovamente come “fallimentare” e promotore di “fake news”. Il Times, secondo Trump, soffrirebbe della cosiddetta “sindrome da sfera di Trump”, un atteggiamento che – a suo dire – configurerebbe una possibile forma di interferenza illecita, anche in ambito elettorale, al momento oggetto di “attento esame”. Il riferimento è a un articolo pubblicato dal quotidiano martedì, in cui si riferiva che la Paramount sarebbe pronta a trattare per un accordo extragiudiziale nella causa intentata da Trump. Nello stesso pezzo, veniva riportato il giudizio di alcuni esperti legali, secondo cui la causa sarebbe “infondata” e rappresenterebbe “una facile vittoria per la CBS”. La pubblicazione di tale valutazione legale ha contribuito a inasprire ulteriormente la posizione del presidente. Il New York Times ha risposto mercoledì con una nota ufficiale: “Il New York Times non si lascerà scoraggiare dalle tattiche intimidatorie dell’amministrazione. Continueremo a indagare sui fatti senza timore o favoritismi e a difendere il diritto dei giornalisti, garantito dal Primo Emendamento, di porre domande a nome del popolo americano”. Secondo Sarah Rumpf di Mediaite, le accuse di manipolazione rivolte a CBS e Paramount non trovano riscontro oggettivo. Rumpf scrive che, come in ogni prodotto televisivo, l’intervista è stata sottoposta a normali tagli di montaggio, senza alterare in modo sostanziale le risposte. Aggiunge che nessuna delle reti coinvolte ha ammesso frodi o violazioni, e che il contenuto trasmesso non ha avuto effetti documentabili sui risultati elettorali. Nel frattempo, un rapporto pubblicato dal Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ) ha evidenziato l’aumento delle pressioni politiche sulla libertà di stampa negli Stati Uniti. Il documento, intitolato “Campanelli d’allarme”, si concentra sui primi 100 giorni del secondo mandato Trump, sottolineando l’intensificarsi del clima di ostilità verso il mondo dell’informazione. La direttrice esecutiva del CPJ, Jodie Ginsberg, ha affermato: “Questo è un momento decisivo per i media statunitensi […] Tutte le nostre libertà dipendono dalla tutela del Primo Emendamento”. Il clima di tensione mediatica è ulteriormente alimentato dal caso del giornalista Ryan Lizza, che ha lasciato Politico per fondare una propria newsletter su Substack. Dopo la fine della relazione con la collega Olivia Nuzzi e il coinvolgimento in una vicenda giudiziaria successivamente ritirata, Lizza ha motivato l’abbandono della testata con il crescente divario tra i fatti e il modo in cui vengono raccontati. In un’intervista alla Columbia Journalism Review, ha elogiato la copertura del New York Times sulla nuova amministrazione. Infine, anche il mondo dello sport è stato coinvolto in dinamiche mediatiche complesse. Bill Belichick, ex allenatore dei New England Patriots e ora coinvolto in un progetto editoriale, ha criticato la CBS per un’intervista andata in onda su CBS News Sunday Morning, in cui è stato chiesto del suo rapporto con la compagna Jordon Hudson, 24 anni. Durante la trasmissione, Hudson è intervenuta per evitare la domanda, episodio che ha generato forte eco mediatica. In una dichiarazione, Belichick ha lamentato che l’intervista, concordata per promuovere un libro, sia stata montata in modo fuorviante, omettendo oltre 30 minuti di conversazione e “creando una narrazione falsa”. La CBS ha risposto affermando che non erano previste limitazioni editoriali e che la natura dell’intervista era stata chiarita con l’editore. La vicenda ha avuto ulteriori sviluppi con la decisione della Università della Carolina del Nord di ritirarsi dalla partecipazione al programma Hard Knocks di HBO, inizialmente previsto per l’estate. Secondo The Athletic, la decisione sarebbe legata alla richiesta di Hudson di essere coinvolta nella produzione, fatto che avrebbe indotto HBO a riconsiderare il progetto.