Corriere della Sera, premio da mille euro se si mantiene distanza da Repubblica

Il Corriere della Sera ha firmato un accordo che prevede un Premio di risultato di mille euro lordi per ogni giornalista della redazione, esclusi Direttore e Vicedirettori, se entro il 31 dicembre 2025 saranno raggiunti tre obiettivi: 750.000 abbonati digitali, il mantenimento della distanza da Repubblica di 88.000 copie, e la realizzazione di tre progetti editoriali. L’accordo è stato firmato il 25 novembre tra l’azienda e il Comitato di redazione. Secondo quanto comunicato alle persone coinvolte, il Premio è legato a produttività, qualità ed efficienza del lavoro. La cifra totale è divisa in tre parti. La prima riguarda il numero degli abbonati digitali: se al 13 dicembre 2025 saranno 750.000, verrà riconosciuto il 50% del Premio, cioè 500 euro. Sono previste quote minori: 450 euro con 700.000 abbonati e 475 euro con 725.000 abbonati. Il secondo obiettivo riguarda la differenza con il diretto concorrente sul mercato, Repubblica. Per ottenere il 30% del Premio, pari a 300 euro, la distanza deve restare di 88.000 copie certificate Ads entro il 31 dicembre 2025. Sono previste gradazioni anche qui: 150 euro con 60.000 copie, 200 euro con 70.000 copie e 250 euro con 80.000 copie. Il terzo obiettivo è la conclusione dei progetti editoriali “Le lezioni del Corriere“, “Life, il bello della vita” e “L’Europa siamo noi“. Se saranno completati entro il 31 dicembre 2025, verrà erogato il 20% del Premio, pari a 200 euro. Il rendiconto finale sarà fatto da azienda e Cdr quando verrà approvato il Bilancio 2025, previsto per aprile 2026. Il Premio sarà pagato nelle buste di giugno 2026. È previsto che la somma non influirà su retribuzione diretta o indiretta, né su trattamento di fine rapporto. Il Premio sarà riconosciuto ai giornalisti assunti a tempo indeterminato, in forza da almeno sei mesi, presenti al 31 dicembre 2025 e alla data di erogazione. Per i giornalisti con contratto articoli 2 e 12, il Premio sarà dato in buoni benzina, nella stessa misura. Le comunicazioni interne hanno ricordato che lo scorso anno la cifra fu più bassa, perché erano diminuite le copie vendute. (In foto, Urbano Cairo e Luciano Fontana)
La Repubblica verso Grecia e Arabia Saudita. A rischio oltre 100 posti di lavoro

La vendita di Repubblica e delle radio collegate è attesa da metà dicembre, a partire dal giorno 15, dopo che Exor ha rinnovato per altri due mesi il patto di esclusiva con il potenziale acquirente greco Theodore Kyriakou, collegato a investitori sauditi. La notizia è stata comunicata in riunioni interne e riguarda uno dei giornali più conosciuti in Italia. Exor, guidata da John Elkann, ha acquistato il gruppo Gedi alla fine del 2019 e in cinque anni ha venduto molti giornali, lasciando ora in campo i marchi più grandi. Nei giorni scorsi il Direttore Mario Orfeo, il 4 dicembre, e i rappresentanti dell’azienda, il 5 dicembre, hanno spiegato al Comitato di redazione che la cessione è probabile e potrebbe avvenire in tempi brevi. Sono state comunicate anche altre informazioni: l’accordo sul lavoro da remoto dovrebbe valere solo per altri sei mesi, mentre Elkann ha detto di voler essere presente alla festa per i 50 anni del giornale prevista il 18 gennaio. Secondo quanto spiegato nelle riunioni, se la vendita non dovesse andare in porto e la proprietà restasse a Gedi, nella primavera 2025 potrebbero esserci tagli, perché il passivo previsto per il prossimo anno è più pesante di quello del 2024. Prepensionamenti e cassa integrazione usati finora non sarebbero stati sufficienti. L’azienda ha detto che la produzione editoriale è stata soddisfacente, con perdite di copie e numeri di abbonamenti digitali in linea con le previsioni. Nel caso di acquisto da parte di Kyriakou, alcune ricostruzioni interne parlano dell’idea di un giornale più snello, con un possibile taglio dell’organico, oggi formato da 315 giornalisti. Le voci interne parlano di 100 o 140 persone, ma l’azienda ha smentito questi numeri, ricordando che le garanzie occupazionali sono previste dai contratti. Le cifre indicate coincidono con il numero di giornalisti delle nove edizioni locali del quotidiano. Il Comitato ha chiesto tutele per il lavoro e rispetto della storia del giornale. Tra gli asset in vendita rientrano anche Radio Deejay, Radio Capital e M2o, considerate le attività più redditizie del gruppo, con circa 60 milioni di ricavi e 10 milioni di utili. Nel 2020 Exor ha pagato 220 milioni di euro per acquistare tutto il gruppo Gedi. Oggi Repubblica e La Stampa sono iscritte a bilancio per un valore di circa 72 milioni. Accanto alla vendita a soggetti esteri, è stato discusso un secondo scenario: secondo fonti interne, il ministero dell’Economia potrebbe voler evitare la cessione all’estero e favorire una cordata italiana per acquistare Repubblica e Agi, già coinvolta in trattative editoriali negli ultimi mesi. Questa ipotesi riguarderebbe anche testate vicine a editori che possiedono Giornale, Libero e Tempo. In queste ricostruzioni si parla di una possibile modifica della linea editoriale, poiché Repubblica è indicata come una delle poche testate che seguono con attenzione l’attività del governo Meloni. Il Comitato di redazione e i fiduciari hanno convocato una assemblea per il 9 dicembre per discutere del futuro del giornale. L’obiettivo comunicato è difendere posti di lavoro, evitare lo smantellamento della testata e chiedere chiarimenti alla proprietà sulle sue intenzioni. Nelle comunicazioni interne è stato ricordato che negli ultimi dodici anni ci sono stati cinque stati di crisi e che settanta giornalisti hanno lasciato il giornale tramite prepensionamento durante l’ultimo intervento. (In foto, Mario Orfeo e John Elkann)
John Elkann visita La Stampa: solidarietà dopo l’attentato

John Elkann, amministratore delegato di Exor, è arrivato ieri presso la sede de La Stampa per portare la sua solidarietà alla redazione dopo l’attentato subito venerdì scorso. Accompagnato da Paolo Ceretti, presidente di GEDI, Elkann ha voluto osservare personalmente i danni e le scritte ancora visibili sulle pareti, testimoni del grave atto di violenza. Nonostante il letame lanciato nel cortile e i documenti e libri sparsi siano stati rimossi, le colonne della redazione, su cui era stata lasciata la vernice, sono rimaste a testimoniare l’accaduto. Il direttore Andrea Malaguti ha mostrato a Elkann questi segni dell’assalto, segnali di un attacco contro l’indipendenza e il lavoro dei giornalisti. Elkann ha preso la parola, sottolineando la sua forte condanna dell’episodio. “L’attacco che questa redazione ha subito è stato brutale e vile”, ha detto. “Un tentativo evidente di intimidire chi ogni giorno lavora per raccontare la realtà con rigore, serietà e indipendenza”. Ha inoltre aggiunto che l’episodio è ancora più inquietante poiché non isolato, facendo riferimento all’assalto alle OGR (Officine Grandi Riparazioni), avvenuto poco prima, durante il quale La Stampa raccontava gli eventi legati all’Italian Tech Week. Elkann ha sottolineato come, in entrambe le occasioni, gli autori degli attacchi abbiano cercato di sostituire il dialogo con la violenza, tentando di zittire le voci e le opinioni legittime. Nel corso del suo intervento, Elkann ha voluto esprimere tre messaggi chiari. Il primo è rivolto ai giornalisti e ai dipendenti de La Stampa. Ha rassicurato che GEDI prenderà molto sul serio quanto accaduto, e che saranno introdotti nuovi protocolli di sicurezza per garantire un ambiente di lavoro sicuro per tutti. “Questo verrà fatto in stretto coordinamento con le autorità e le forze pubbliche”, ha aggiunto. Il secondo messaggio è rivolto ai lettori. Elkann ha ribadito che il giornalismo praticato da La Stampa non tollera soprusi, ingerenze, minacce. Il giornale continuerà a informare i lettori con autonomia e libertà, respingendo ogni tentativo di intimidazione. Infine, il terzo messaggio è per il territorio e il Paese. Elkann ha ricordato che La Stampa ha affrontato nel passato altre difficoltà e ha sempre risposto con fermezza, senza mai arretrare sui suoi principi. Ha citato il vicedirettore Casalegno, ucciso dalle Brigate Rosse, come esempio di come il giornale sia sempre stato un presidio di libertà e civiltà. Elkann ha anche sottolineato come il giornale abbia ricevuto numerosi attestati di solidarietà, tra cui quello del presidente della Repubblica e del presidente del Consiglio, che hanno pienamente supportato i tre punti espressi. “A tutti coloro che conoscono e apprezzano il modo in cui La Stampa fa giornalismo e anche a tutti coloro che hanno provato a colpire questo giornale, dobbiamo rispondere che La Stampa continuerà a informare i suoi lettori come ha sempre fatto, con rigore, serietà e indipendenza”. Il direttore Malaguti, al termine dell’intervento di Elkann, ha voluto ringraziare i colleghi per la loro solidarietà, “perché quando è avvenuto questo episodio sono arrivati in massa al giornale, dimostrando qual è il legame che hanno verso La Stampa, un segnale per me importantissimo, dimostrando qual è il legame che hanno verso La Stampa, un segnale per me importantissimo”. Ha concluso dicendo che la serietà del giornale non verrà mai meno, e che la redazione continuerà a lavorare insieme, con qualità, talento e coraggio, anche nei momenti difficili. Elkann ha infine ricordato, mentre si allontanava dalla redazione, le parole degli antagonisti che hanno partecipato all’assalto: “Non sono tanto le cose. Ma le parole”. Un chiaro riferimento alla gravità delle intimidazioni verbali, che accompagnano gli atti di violenza fisica, con l’obiettivo di minare la libertà di stampa.
Sciopero dei giornalisti. Fnsi: “No a chi sostituisce i colleghi che si astengono dal lavoro”

La Fnsi ha annunciato che vigilerà in tutta Italia per garantire il diritto di sciopero dei giornalisti che il 28 novembre hanno deciso di fermarsi. L’organizzazione ha spiegato chi farà cosa, dove e quando, indicando che Federazione e Associazioni regionali di Stampa controlleranno ogni redazione in cui saranno previste attività durante lo sciopero, per verificare che nessun collega venga sostituito o invitato a lavorare contro la propria volontà. L’obiettivo dichiarato è tutelare tutti i lavoratori interessati dallo sciopero indetto dalla Fnsi e assicurare il rispetto delle norme previste dalla Costituzione e dallo Statuto dei lavoratori. Il sindacato ricorda che “tuteleremo il diritto allo sciopero, no alla sostituzione dei colleghi che si astengono dal lavoro“, sottolineando che sono considerati comportamenti antisindacali le azioni delle aziende che limitano la possibilità di scegliere liberamente se aderire o meno all’astensione. La Fnsi afferma inoltre di essere pronta a sostenere le Associazioni regionali che vorranno presentare denunce in caso di violazioni, comprese quelle rivolte alle redazioni che dovessero pubblicare giornali, agenzie, siti o telegiornali sostituendo i giornalisti in sciopero con collaboratori, partite Iva o pensionati. Tra le condotte contestate rientra anche la “precettazione” al lavoro dei colleghi, cioè il tentativo di convincere capi o vice capi di settore a non partecipare allo sciopero “per immaginari doveri legati al ruolo e alla funzione”. La Fnsi richiama poi una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 29740/2025) che ha esaminato il rapporto tra diritto di sciopero e libertà economica dell’azienda, stabilendo che le misure adottate dal datore di lavoro non possono limitare l’esercizio dello sciopero. I giudici hanno riconosciuto come antisindacale il comportamento di un’azienda che, per evitare danni economici durante l’astensione, aveva dato indicazioni al personale considerate in contrasto con l’art. 28 dello Statuto dei lavoratori. La Fnsi ricorda quindi che qualsiasi azione aziendale che imponga un’attività lavorativa o che riduca la facoltà del lavoratore di aderire allo sciopero è considerata illegittima. Per questo, il sindacato invita colleghi e aziende a rispettare le regole e annuncia controlli e segnalazioni qualora si presentino comportamenti in contrasto con la normativa vigente.
I giornalisti scendono in piazza per il rinnovo del contratto

Giovedì 27 novembre, alle 10, il Consiglio nazionale della Fnsi si riunirà in piazza dei Santi Apostoli a Roma per aprire ufficialmente la mobilitazione per il rinnovo del contratto nazionale Fnsi-Fieg, scaduto nel 2016. L’incontro coinvolgerà i rappresentanti dell’Esecutivo del Cnog, dell’Unione nazionale giornalisti pensionati, dell’Usigrai e i delegati di Inpgi e Casagit, che affiancheranno le Associazioni regionali di Stampa in un momento considerato il cuore organizzativo della protesta. Le iniziative del 27 novembre anticipano lo sciopero nazionale proclamato per il giorno successivo e preparano le manifestazioni previste nelle città italiane, sostenute dai Comitati di redazione e dagli Ordini regionali dei giornalisti. L’appuntamento romano sarà accompagnato dagli hashtag #IlNostroLavoroVale e #GiornalismoDignità, che riassumono il senso della mobilitazione e guideranno la comunicazione pubblica della giornata. A Milano i giornalisti si ritroveranno in piazza 25 Aprile dalle 11, in un presidio organizzato dall’Associazione Lombarda dei Giornalisti. Il sindacato regionale spiega: “Siamo la categoria di lavoratori che, per colpa degli editori, non ha ancora sottoscritto un contratto di lavoro all’altezza dei tempi: adeguato nelle retribuzioni, moderno nelle regole, che tuteli i giovani e sia proiettato verso nuovi modelli di informazione”. A Bologna la manifestazione dell’Aser vedrà la partecipazione del Sindacato giornalisti del Trentino-Alto Adige, del Sigim e del Sindacato giornalisti Veneto, con iniziative che dureranno per tutta la mattinata. A Genova l’Associazione Ligure dei Giornalisti e l’Ordine regionale hanno convocato un presidio davanti alla Prefettura, in Largo Eros Lanfranco, alle 10.30. A Firenze la protesta sarà davanti alla sede Rai, in Largo Ettore Bernabei, dalle 11, con la presenza dei Comitati di redazione, dei fiduciari della Consulta sindacale, dei rappresentanti dell’Associazione Stampa Toscana e dei gruppi regionali dei pensionati e dei giornalisti sportivi. A Napoli l’appuntamento è alle 11.30 a largo Berlinguer. Il Sugc annuncia il riposizionamento del banner dedicato a Mario Paciolla e ricorda le parole del presidente Mattarella: “Il contratto di lavoro dei giornalisti costituisce il primo elemento dell’autonomia della categoria”. A Torino l’Associazione Stampa Subalpina sarà in piazza Carignano dalle 11 alle 12 “per manifestare a sostegno dello sciopero nazionale proclamato dalla Fnsi”. “Il nostro lavoro vale”, aggiunge l’Assostampa, invitando i colleghi a partecipare. A Cagliari il presidio è previsto alle 10.30 in via Barone Rossi, davanti alla sede dell’Assostampa e dell’Ordine regionale, in un momento di confronto anche con i cittadini. A Potenza l’Associazione della Stampa di Basilicata ha convocato un presidio alle 10.30 in piazza Mario Pagano, segnalando che “in molte aree del Paese, soprattutto nel Mezzogiorno, è in atto una vera e propria desertificazione dell’informazione”. A Pescara il Sindacato giornalisti abruzzesi sarà in piazza Salotto alle 10: “La mobilitazione riguarda tutti, dipendenti, autonomi, precari, pensionati. Perché questa non è solo una vertenza di categoria, ma la difesa del diritto dei cittadini a un’informazione corretta e libera”. A Perugia l’Associazione Stampa Umbra manifesterà in piazza Italia dalle 9, insieme all’Ordine dei Giornalisti e ad altre associazioni “per chiedere diritti salariali, innovazione e fine del precariato”. L’associazione avverte: “La luce dell’informazione e del pluralismo si sta spegnendo”. Ad Aosta l’Associazione Stampa Valdostana sarà in piazza Albert Deffeyes alle 11.30, davanti al Palazzo regionale, con delegazioni di Cgil, Cisl, Savt e Uil. (In foto, Alessandra Costante, segretaria generale FNSI)
Corriere della Sera accusato da Zakharova di far parte della “mafia mondiale”

La portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova ha accusato oggi il quotidiano italiano Corriere della Sera, sostenendo che farebbe parte di una presunta “mafia mondiale” che, secondo lei, proteggerebbe il governo ucraino. La dichiarazione è arrivata dalla Russia, dove Zakharova ha riferito che “recentemente il quotidiano italiano Corriere della Sera si è rifiutato di pubblicare un’intervista a Sergei Lavrov, in cui il ministro riportava, tra l’altro, fatti che dimostrano la natura neonazista del regime di Kiev”. L’episodio citato riguarda un’intervista che il ministero degli Esteri russo aveva proposto dopo aver ricevuto le domande del giornale. Il ministero aveva inviato una risposta molto lunga, con numerose accuse verso l’Ucraina e altri Paesi, e non aveva accettato richieste di chiarimento o possibilità di confronto. Il quotidiano aveva quindi scelto di non pubblicare il materiale. Non è la prima volta che Zakharova critica media italiani o occidentali, “essendo evidentemente poco abituata alla democrazia e di conseguenza a una stampa libera e indipendente”. Il Corriere della Sera ha replicato, affermando: “Ancora una volta ci vediamo costretti a ripetere che non prendiamo lezioni da un Paese dove la libertà di espressione e di dissenso è ormai cancellata”. (In foto, Maria Zakharova)
La Stampa, Gino Cecchettin direttore per un giorno, nella ricorrenza contro la violenza sulle donne

Gino Cecchettin guiderà La Stampa come direttore per un giorno in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, firmando un numero speciale dedicato alla sensibilizzazione sul tema. L’iniziativa nasce per portare nelle pagine del quotidiano l’esperienza diretta di un padre che, l’11 novembre 2023, ha perso la figlia Giulia, 22 anni, uccisa dall’ex fidanzato a Fossò. La redazione ha scelto di affidargli la direzione simbolica dell’edizione del 25 novembre per costruire insieme un giornale che renda più accessibili informazioni, strumenti e testimonianze sulla violenza di genere. Nell’edizione speciale verrà distribuita la guida “Facciamo rumore”, pensata per aiutare chi vive situazioni di rischio e per spiegare a chi osserva come riconoscere segnali e comportamenti utili. La guida, accompagnata da una spilla con la stessa frase, riprende l’espressione usata da Elena Cecchettin, sorella di Giulia, per incoraggiare la reazione pubblica contro il silenzio che spesso circonda i casi di violenza. Il materiale allegato offre indicazioni chiare e immediate, con un linguaggio semplice per raggiungere lettori di tutte le età. Tra le informazioni principali c’è il “Signal for Help”, un gesto silenzioso che consente di chiedere aiuto senza attirare l’attenzione dell’aggressore. Il movimento è composto da tre passaggi: alzare la mano con il palmo in avanti, piegare il pollice verso l’interno, chiudere le altre dita sopra il pollice. La guida illustra quando può essere usato e come chi lo vede può intervenire in sicurezza, ricordando che la priorità è evitare azioni dirette che potrebbero esporre a rischi. La raccomandazione è di chiamare il 112 indicando di aver visto il segnale e, una volta possibile, contattare il 1522, numero nazionale antiviolenza e antistalking attivo 24 ore su 24. Il documento contiene inoltre i riferimenti dei Centri antiviolenza di Torino e provincia. L’iniziativa arriva in un momento in cui i nuovi dati raccolti da Eurostat, aggiornati a marzo 2024, mostrano che una donna su tre nell’Unione Europea ha subito nel corso della vita violenza fisica, minacce e/o violenza sessuale. Le percentuali indicano che il 13% ha subito violenza fisica o minacce senza componenti sessuali, mentre il 17% ha vissuto episodi di violenza sessuale. Numeri che continuano a delineare un fenomeno diffuso e radicato. Nel numero diretto da Gino Cecchettin saranno presenti storie, dati, interventi specialistici e testimonianze raccolte per offrire ai lettori un quadro chiaro della situazione, con l’obiettivo di rendere l’informazione uno strumento di supporto concreto. (In foto, Gino e Giulia Cecchettin)
Sky News prepara l’era delle ricerche “video-first”: l’AI cambierà come troviamo le notizie

Al Web Summit di Lisbona Sky News ha annunciato un passo strategico che potrebbe ridefinire il modo in cui il pubblico scopre e consulta le notizie online: l’integrazione della ricerca semantica nel proprio archivio video, con l’obiettivo di renderlo pienamente compatibile con un futuro in cui le ricerche saranno mediate dalle intelligenze artificiali e restituiranno risultati direttamente in formato video, anziché in semplici elenchi di link. L’annuncio è arrivato durante un panel organizzato da Press Gazette che ha riunito David Rhodes, presidente esecutivo di Sky News, Rachel Corp, CEO di ITN, e Pedro Vargas David, presidente di Euronews. Al centro del confronto, l’impatto dell’AI sulle redazioni e il cambiamento delle abitudini di fruizione delle notizie. Rhodes ha descritto la strategia “video-first” rientrante nel piano Sky 2030, partendo da un dato significativo: “Negli ultimi sette giorni abbiamo registrato 100 milioni di visualizzazioni su TikTok”. Una cifra che conferma come piattaforme come TikTok e YouTube siano ormai centrali nella distribuzione delle notizie. Secondo Rhodes, il prossimo cambiamento riguarderà la ricerca stessa: “dobbiamo prepararci a un mondo in cui chiedi e ottieni un risultato video”. Per arrivarci, Sky sta collaborando con Prorata e Arc XP per integrare una ricerca semantica avanzata che permetta all’AI di “capire” il contenuto dell’intero archivio, non solo titoli e descrizioni. Pedro Vargas David ha raccontato come l’intelligenza artificiale stia già trasformando in concreto il lavoro dei reporter. Oggi, ha spiegato, è possibile creare servizi completi con “tre iPhone e un treppiede”, mentre la traduzione e l’adattamento dei contenuti nelle 19 lingue dell’emittente sono in buona parte automatizzati: “l’intelligenza artificiale ha liberato molto tempo giornalistico per creare storie vere e proprie, anziché dover tradurre e adattare”. ITN, che produce i notiziari per Channel 4, ITV e Channel 5, sta ottenendo qualche ricavo dal digitale, ma non abbastanza per compensare la perdita dei finanziamenti tradizionali. Corp spiega che la priorità è raggiungere il pubblico ovunque, anche se piattaforme come TikTok non generano entrate significative. ITN sta già usando l’intelligenza artificiale per attività pratiche in produzione, come il controllo ortografico e la ricerca di immagini d’archivio, per rendere il lavoro più efficiente. (In foto, David Rhodes)
Il ministro russo Lavrov accusa il Corriere della Sera di censura

Il ministero degli Esteri russo ha accusato il Corriere della Sera di essersi rifiutato di pubblicare un’intervista con il ministro Serghei Lavrov, sostenendo che il quotidiano italiano avesse cambiato posizione dopo aver ricevuto il testo finale. Secondo la nota ufficiale diffusa dal ministero e rilanciata dalla Tass, il Corriere aveva accettato l’offerta di un’intervista esclusiva, aveva inviato molte domande e aveva ricevuto rapidamente le risposte pronte per la pubblicazione. La Russia ha dichiarato che “il quotidiano ha rifiutato di pubblicare le risposte di Lavrov”, spiegando che la redazione avrebbe giudicato il contenuto troppo complesso e con molte affermazioni da verificare. Nel comunicato si parlava di “palese censura” e si richiamava il diritto dei cittadini italiani a un’informazione completa, citando l’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Il ministero ha anche diffuso due versioni dell’intervista: una integrale e una attribuita alla redazione italiana, nella quale, secondo la Russia, sarebbero stati tolti alcuni passaggi sulla situazione in Ucraina. La direzione del Corriere della Sera ha respinto le accuse, dichiarando che il materiale ricevuto dal ministero russo era “un testo sterminato pieno di accuse e tesi propagandistiche”. Il quotidiano ha spiegato di aver chiesto un’intervista con possibilità di confronto diretto, ricevendo però un rifiuto. La redazione ha affermato che le condizioni imposte da Mosca non rispecchiavano i criteri di un giornalismo libero, sottolineando: “Quando il ministro Lavrov vorrà fare un’intervista secondo i canoni di un giornalismo libero e indipendente saremo sempre disponibili”. Nel corso della giornata è intervenuta anche Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, che ha accusato il quotidiano di aver reagito con un presunto “attacco di panico”. Zakharova ha dichiarato che la redazione sarebbe stata pronta a pubblicare solo un terzo dell’intervista e che i tagli avrebbero riguardato anche parti legate al concetto di neonazismo, più volte citato dal ministro nelle sue risposte. La portavoce ha affermato che le ragioni del rifiuto sarebbero state politiche e che “i media sono così intimiditi che il dovere giornalistico e l’etica professionale hanno ceduto”. In un contesto internazionale segnato dal conflitto, sono arrivate anche le parole di Svetlana Tikhanovskaya, leader dell’opposizione democratica bielorussa in esilio, in visita al Parlamento britannico. Tikhanovskaya ha dichiarato che “l’Ucraina combatte per tutti noi, per i nostri valori comuni e il nostro futuro”, collegando la resistenza del Paese alla difesa delle democrazie europee. Ha ricordato la detenzione del marito Siarhei Tikhanovsky, arrestato durante la campagna elettorale contro il presidente Aleksandr Lukashenko, e ha raccontato l’impatto emotivo del loro incontro dopo cinque anni di prigionia. Tikhanovskaya ha spiegato che, secondo lei, la Russia non avrebbe mai considerato la Bielorussia e l’Ucraina come Stati pienamente indipendenti e che l’obiettivo di Mosca sarebbe stato mantenere una forma di controllo politico. Ha affermato che i Paesi europei avrebbero dovuto continuare a sostenere Kiev, perché ogni esitazione sarebbe stata percepita dalla Russia come un punto debole. Ha indicato che eventuali negoziati sulla guerra sarebbero arrivati solo quando l’Ucraina avrebbe avuto una posizione forte, ricordando che i conflitti terminano spesso con accordi che richiedono tempo e stabilità. Riguardo al presidente russo Vladimir Putin, Tikhanovskaya ha parlato di una strategia che, a suo parere, mirava a mantenere il mondo democratico sotto pressione e in costante incertezza. Ha detto di credere che i Paesi democratici fossero abbastanza uniti e preparati per contrastare queste tensioni. Guardando al futuro della Bielorussia, ha spiegato che la popolazione aveva un forte desiderio di avvicinarsi all’Europa e che un percorso chiaro verso l’integrazione europea avrebbe aiutato la società a rafforzare le proprie istituzioni. Tikhanovskaya ha concluso affermando che “il compito del mondo democratico è mostrare alla Russia che non ha il diritto di considerare altri Paesi come i suoi satelliti: quell’epoca sovietica è finita”. (In foto, Serghei Lavrov)
Trump accusa la BBC: “Manipolato il mio discorso”, chiesto 1 miliardo

Trump ha inviato alla Bbc una richiesta di risarcimento da un miliardo di dollari, accusando l’emittente di aver “manipolato” il suo discorso del 6 gennaio 2021 in un documentario. Nella lettera formale, l’ex presidente sostiene che il montaggio abbia unito frasi diverse e omesso il passaggio in cui invitava i sostenitori a protestare “in modo pacifico e patriottico”. Se la rete non pubblicherà una rettifica entro il 14 novembre alle 22 (ora britannica), Trump avvierà un’azione legale chiedendo la somma record. L’emittente ha confermato di aver ricevuto la lettera e ha dichiarato che “risponderà”. Le accuse si sono intrecciate con le dimissioni del direttore generale Tim Davie e della responsabile delle Bbc News Deborah Turness, arrivate dopo giorni di critiche internazionali per il servizio contestato. Davie ha dichiarato: “Ho deciso di lasciare la Bbc dopo 20 anni. Questa è una decisione interamente mia”. Ha riconosciuto che “sono stati commessi alcuni errori” e ha aggiunto: “In qualità di direttore generale, devo assumermi la responsabilità ultima”. Ha spiegato inoltre che la Bbc “deve essere sempre aperta, trasparente e responsabile”. Turness ha affermato che “l’attuale controversia sul presidente Trump ha raggiunto uno stadio tale da danneggiare la Bbc” e ha aggiunto: “La responsabilità ricade su di me”. Ha però precisato che “sebbene siano stati commessi degli errori, le recenti accuse secondo cui Bbc News sarebbe istituzionalmente faziosa sono sbagliate”. L’episodio ruota attorno a un servizio in cui la frase di Trump “combattere come matti” era stata messa in evidenza, mentre mancava il riferimento alla protesta “pacifica e patriottica”. La polemica ha alimentato un dibattito sulla correttezza del montaggio e sulla fiducia nelle immagini trasmesse, mentre Trump ha definito i giornalisti coinvolti “corrotti” e ha sostenuto che il video avrebbe potuto alterare la percezione degli eventi del 6 gennaio. La rete ha ammesso l’errore tecnico e si prepara a chiarire la propria posizione nelle sedi formali.