Casagit, nuove strategie contro lo stress in redazione: il 79% dei giornalisti ne soffre

Il lavoro dei giornalisti italiani è sempre più caratterizzato da stress psicosociale, carichi cognitivi elevati e incertezza occupazionale. L’indagine “Breaking News”, promossa dall’Osservatorio salute e sicurezza sul lavoro di Casagit Salute, ha coinvolto 1.910 professionisti dei settori stampa, televisione, web e radio, analizzando i rischi del mestiere. Il report sarà discusso al Congresso europeo di Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni a Praga dal 21 al 24 maggio 2025. Lo studio, realizzato con il Consiglio nazionale dell’Ordine degli psicologi (Cnop) e l’Università di Bologna, evidenzia come il 79% dei giornalisti percepisca un forte aumento dello stress lavorativo. Le principali cause sono il sovraccarico informativo, l’uso incessante delle tecnologie e la riduzione del personale nelle redazioni. Il tecnostress, ovvero la difficoltà nel gestire notifiche continue e l’accelerazione dei tempi di produzione, sta incidendo negativamente sul benessere mentale e fisico dei professionisti dell’informazione. Un altro dato allarmante riguarda la crescente preoccupazione per la sicurezza occupazionale: il 65% degli intervistati teme che l’intelligenza artificiale possa ridurre ulteriormente le opportunità di impiego, mentre l’82% ritiene indispensabile un aggiornamento continuo delle competenze per restare competitivi. La costante pressione nel garantire contenuti rapidi e aggiornati porta inoltre a un calo della qualità dell’informazione, con ripercussioni sia sui giornalisti che sul pubblico. Il report è stato già consegnato alla Federazione nazionale della stampa italiana (Fnsi) come contributo al tavolo di discussione per il rinnovo del Contratto nazionale di lavoro giornalistico. Secondo il presidente di Casagit Salute, Gianfranco Giuliani, questi dati devono spingere a implementare strategie di prevenzione e supporto per migliorare la salute psicofisica dei giornalisti e rendere il settore più sostenibile. Tra le soluzioni proposte, emergono l’adozione di modelli organizzativi più equilibrati, la promozione di percorsi di formazione continua e un maggiore riconoscimento del valore del lavoro giornalistico.
Trump, la guerra alla “follia woke” e la censura: la lista nera delle parole che vanno abolite

Donald Trump, da sempre sostenitore della libertà d’espressione, si trova ora al centro di un evidente paradosso: mentre proclama la sua battaglia contro la censura, impone drastiche restrizioni sul linguaggio utilizzato nelle agenzie federali americane. Primaonline riporta che, secondo un’inchiesta del New York Times, numerose parole e concetti sono stati eliminati dai documenti ufficiali, dai siti web governativi e dalle linee guida interne, creando una vera e propria lista di termini proibiti. Tra questi si trovano riferimenti all’identità di genere, alla diversità, all’equità e all’inclusione, ma anche espressioni legate all’ambiente, alla giustizia sociale e ai diritti delle minoranze. L’ossessione di Trump per la lotta contro quella che definisce la “follia woke” si traduce in una vera e propria epurazione lessicale, con la volontà di cancellare dall’apparato statale ogni riferimento a tematiche che possano richiamare il progressismo. La parola “transgender”, ad esempio, è stata rimossa, così come “women” e “LGBTQ+”. Anche termini come “cambiamento climatico”, “patrimonio culturale”, “pregiudizi” e persino “discorsi d’odio” sono stati banditi. Una delle decisioni più discusse riguarda la cancellazione del nome “Enola Gay” da documenti ufficiali e foto del Pentagono, per via del termine “gay” presente nel nome del bombardiere che sganciò l’atomica su Hiroshima. La campagna di Trump si estende anche oltre la censura linguistica. Il presidente ha ordinato la sospensione di celebrazioni come il Martin Luther King Day, il Giorno della Memoria e il Pride Month, eliminando qualsiasi riferimento alla diversità, equità e inclusione nei luoghi di lavoro federali. Questa politica ha conseguenze tangibili non solo nel linguaggio istituzionale, ma anche nella vita accademica e scientifica: molte università e enti di ricerca temono la perdita di finanziamenti e si stanno adeguando al nuovo corso. Perfino la NASA ha eliminato dal proprio sito le informazioni sulle donne nel campo STEM, mentre interi dipartimenti di studi di genere, clima e migrazioni stanno chiudendo. L’amministrazione Trump giustifica queste misure come una reazione alla cancel culture, ma in realtà sta praticando una forma selettiva della stessa strategia, eliminando dal dibattito pubblico ogni voce contraria alla sua visione conservatrice. La scelta delle parole proibite non è casuale: riflette una chiara volontà di riscrivere la narrazione sociale e politica degli Stati Uniti, plasmando il linguaggio in modo da eliminare concetti scomodi. Le parole hanno potere e, come sottolinea il New York Times, questa epurazione linguistica è uno specchio delle priorità ideologiche dell’amministrazione. Il caso americano ha anche un’eco internazionale, con paralleli inquietanti. In Argentina, il presidente Javier Milei, sostenitore di una crociata contro il politicamente corretto, ha reintrodotto nel linguaggio istituzionale termini offensivi come “imbecille”, “ritardato” e “idiota” per riferirsi alle persone con disabilità intellettive, oltre a voler eliminare il concetto di femminicidio dal Codice penale. Trump e Milei condividono una visione del mondo in cui il linguaggio deve essere uno strumento di potere e controllo, piuttosto che un mezzo per rappresentare la complessità della realtà. Non è un caso che anche Elon Musk, alleato di Trump, abbia recentemente emulato il leader argentino, brandendo una motosega come simbolo di questa battaglia culturale. Le implicazioni di questa censura vanno oltre la semplice scelta di parole. Eliminare termini come “etnia”, “discriminazione” o “disparità di genere” non cambia la realtà, ma impedisce di affrontarla apertamente, con conseguenze concrete sulla ricerca, sulla politica sociale e sul dibattito pubblico. L’effetto è un arretramento del discorso democratico, in cui la libertà di espressione viene sacrificata sull’altare di una narrativa ideologica sempre più ristretta e autoritaria.
Washington Post riorganizza e amplia il team investigativo

Il Washington Post ha annunciato una significativa espansione e ristrutturazione del suo team investigativo, rafforzando la sua capacità di produrre giornalismo d’inchiesta di alta qualità. Tra le principali novità, il Visual Forensics Team si sposta dal Video Department alle Investigations, una scelta che consolida il ruolo del team nell’uso di tecniche innovative per analizzare eventi di rilievo globale. Fondato da Nadine Ajaka sotto la supervisione di Micah Gelman, il team ha collaborato con il Rapid Response Team su progetti di grande impatto, tra cui la ricostruzione della repressione a Lafayette Square, premiata con l’Alfred I. duPont Silver Baton, e l’analisi dei primi minuti dell’attacco al Campidoglio, parte di un lavoro che ha vinto il Premio Pulitzer per il servizio pubblico. Più recentemente, un’indagine sulle falle nel Muro di ferro israeliano del 7 ottobre è stata finalista per due Emmy Awards. Il team comprende esperti come Elyse Samuels, Joyce Sohyun Lee, Meg Kelly, Sarah Cahlan, Samuel Oakford, Imogen Piper, Nilo Tabrizy, Jonathan Baran e Jarrett Ley. Dal punto di vista organizzativo, Eric Rich assume il ruolo di vicedirettore delle indagini, lavorando a stretto contatto con il redattore capo David Fallis e supervisionando direttamente i team VF e Rapid. Eric è stato il fondatore del Rapid Response Team, che ha portato alla luce importanti scoop, tra cui le accuse di cattiva condotta sessuale contro Roy Moore, premiate con il Pulitzer per il giornalismo investigativo. A prendere il suo posto come editor del team Rapid sarà Emma Brown, già reporter di punta, nota per le sue inchieste sulla sicurezza elettorale e per aver rivelato le operazioni degli alleati di Trump nella Contea di Coffee. Emma ha inoltre condiviso il Pulitzer del Post per la copertura del 6 gennaio e ha dimostrato eccellenti doti di leadership. Nel team Rapid, Shawn Boburg assume il ruolo di vicedirettore. Membro storico del team, ha realizzato esclusive sui fallimenti delle forze dell’ordine a Butler, in Pennsylvania, e un’inchiesta su gruppi predatori su Discord che spingevano adolescenti a farsi del male. Ha collaborato alla serie American Icon, vincitrice del Pulitzer 2024 per il National Reporting, e ha ricevuto il George Polk Award per la sua copertura dello scandalo Bridgegate. Per le investigazioni a lungo termine, Lisa Gartner diventa editor e riferirà direttamente a David Fallis. Lisa ha un’esperienza pluripremiata nel giornalismo investigativo, avendo lavorato per il San Francisco Chronicle, il Philadelphia Inquirer e il Tampa Bay Times. Ha ricevuto un Pulitzer per il giornalismo locale, il George Polk Award e l’IRE Award per le sue inchieste su scuole razziste e abusi infantili. Due nuovi arrivi rafforzano ulteriormente il team: Kelley Benham French guiderà il nuovo Narrative Accountability Team, sviluppando narrazioni investigative ambiziose. Kelley ha curato progetti premiati per The Dallas Morning News, tra cui l’inchiesta su fentanil e overdose in Texas. È stata finalista del Pulitzer per la scrittura di articoli con “Never Let Go”, che racconta la storia della nascita prematura di sua figlia. Infine, Kainaz Amaria entra come visual enterprise editor, contribuendo a potenziare il giornalismo immersivo e le inchieste visive. Ha lavorato per Vox e supervisionato progetti di grande impatto come la serie AR-15 vincitrice del Pulitzer.
Rudi Bianchi nuovo direttore di Virgin Radio Italia

Rudi Bianchi è il nuovo direttore di Virgin Radio, l’emittente rock del Gruppo RadioMediaset, e riporterà direttamente all’AD Paolo Salvaderi. La sua nomina arriva in un momento delicato, a un mese dalla tragica scomparsa di Alex Benedetti, figura di riferimento della radio. Con una solida formazione accademica, Bianchi si è laureato in economia aziendale all’Università Bocconi e ha completato un Master in Multimedia Management, Communication and Media Studies. La sua carriera ha preso il via nel Gruppo Mondadori, dove ha ricoperto il ruolo di Advertising Product Manager per Panorama, per poi diventare Product Manager di R101. Nel 2011, il suo percorso professionale lo ha portato nel Gruppo Mediaset, inizialmente come Advertising Manager Radio per Mediamond. Successivamente, con l’acquisizione del Gruppo Finelco da parte di Mediaset e la nascita del Gruppo RadioMediaset, Bianchi ha assunto la carica di Marketing Manager per Virgin Radio Italy, R101 e Radio Subasio. In questo ruolo, ha gestito la comunicazione, le campagne pubblicitarie, le partnership con i concerti e gli eventi musicali, nonché lo sviluppo di iniziative crossmediali in sinergia con gli altri media del gruppo.
Il Washington Post riorganizza la sua redazione e separa stampa dal digitale

Il Washington Post sta attraversando una fase di profonda trasformazione sotto la guida del direttore esecutivo Matt Murray, con l’obiettivo di ampliare la copertura mediatica e raggiungere un pubblico più vasto. Le modifiche alla struttura redazionale seguono una serie di dimissioni di alto profilo e i cambiamenti voluti dal proprietario Jeff Bezos nella sezione delle opinioni. Una delle partenze più rilevanti è quella della storica editorialista Ruth Marcus, che ha lasciato il giornale dopo la rimozione della sua rubrica critica nei confronti delle nuove politiche editoriali. Anche l’ex direttore esecutivo Marty Baron ha espresso preoccupazione per la direzione intrapresa dal quotidiano. Nell’ambito della riorganizzazione, la redazione nazionale verrà suddivisa in due sezioni distinte: una dedicata al giornalismo nazionale e un’altra focalizzata sulla politica e il governo. Il team economico e di politica economica confluirà in quest’ultima, mentre il desk nazionale si occuperà di temi chiave negli Stati Uniti, con un focus specifico su istruzione, politica locale e dinamiche sociali. Al tempo stesso, i team di economia, tecnologia, salute, scienza e clima saranno accorpati in un nuovo dipartimento per analizzare l’evoluzione dell’economia, l’impatto delle innovazioni tecnologiche e le conseguenze dei cambiamenti climatici sulla vita quotidiana. Per gestire questa riorganizzazione, verranno nominati nuovi capi dipartimento, e l’obiettivo è rendere operativi i cambiamenti entro il 5 maggio. Parallelamente, la strategia editoriale punta a dare maggiore rilevanza ai prodotti digitali, con un team dedicato alla crescita del pubblico e un altro agli aspetti visivi. Murray ha inoltre annunciato l’assunzione di un responsabile della stampa per separare il formato cartaceo dalla produzione digitale, riducendo il peso della lunghezza degli articoli come parametro di qualità. Queste modifiche riflettono una più ampia necessità di rinnovamento del Washington Post, che da anni affronta un calo di profitti e lettori. L’introduzione di una “terza redazione“, denominata WP Ventures, segna un ulteriore passo in questa direzione, concentrandosi su video, audio, newsletter e social engagement. Murray ha riconosciuto che i cambiamenti potrebbero non essere apprezzati da tutti, ma ha sottolineato la necessità di una trasformazione per garantire il futuro del giornale.
Washington Post recluta giornalisti di destra per nuova linea editoriale

Il Washington Post, storicamente considerato uno dei più prestigiosi quotidiani statunitensi, sembra fare una scelta sempre più orientata verso il mondo conservatore. Secondo quanto riportato dal Daily Beast, l’editore del giornale, Will Lewis, avrebbe recentemente incontrato Eliana Johnson, caporedattrice di The Washington Free Beacon, un sito web di giornalismo politico dichiaratamente di destra. Questo incontro avrebbe avuto lo scopo di discutere su come reclutare più giornalisti con orientamenti conservatori per rafforzare la presenza di questi punti di vista all’interno della redazione. Questa mossa non è che l’ultimo passo di una strategia voluta dal proprietario del giornale, Jeff Bezos, che ha acquisito la testata nel 2013. Negli ultimi anni, infatti, Bezos sembra aver cercato di spostare il giornale verso posizioni politiche più vicine alla nuova amministrazione Trump. Questo orientamento è diventato ancora più evidente dopo la controversa decisione di impedire al giornale di sostenere la candidatura di Kamala Harris come vicepresidente nelle elezioni del 2024. Contestualmente, è stato annunciato che la sezione opinioni avrebbe scritto a sostegno e difesa del libero mercato e delle libertà personali. La situazione interna al Washington Post è tutt’altro che tranquilla. L’annuncio riguardante il nuovo orientamento ha portato a dimissioni importanti, tra cui quella del direttore delle opinioni, David Shipley. Inoltre, il giornale ha registrato una perdita di 75.000 abbonati, segno evidente di un cambiamento che ha suscitato preoccupazione tra molti lettori e membri del team. Fonti interne hanno dichiarato che c’è “molta confusione” mentre la dirigenza rimescola la redazione, cercando di ridisegnare la linea editoriale in una direzione più conservatrice. Alcuni dei giornalisti più esperti hanno scelto di abbandonare il giornale, descrivendo l’ambiente come sempre più difficile da giustificare, soprattutto per coloro che hanno sempre creduto nel valore del giornalismo tradizionale. Con una strategia editoriale sempre più rivolta al centro-destra, il futuro del Washington Post appare incerto, con la possibilità che la testata rischi di perdere ancora più lettori e di trovarsi sempre più polarizzata in un contesto politico e mediatico già molto divisivo.
Una nuova Press Card per i giornalisti: ecco il progetto

Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti ha avviato una collaborazione con l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato per sviluppare un nuovo tesserino per giornalisti, trasformandolo in una moderna Press Card. Questa iniziativa rappresenta un’opportunità significativa per semplificare e rendere più sicura la gestione del documento di iscrizione all’Ordine professionale, garantendo al contempo elevati standard di sicurezza. Il formato preliminare della Card prevede l’integrazione di caratteristiche anticontraffazione, simili a quelle adottate nei documenti di riconoscimento ufficiali. Il progetto, già delineato in una prima bozza, potrebbe in futuro essere incluso nell’IT-Wallet, il portafoglio digitale promosso dall’Istituto Poligrafico in collaborazione con PagoPa e sotto il coordinamento del Dipartimento per la Trasformazione Digitale. Un aspetto rilevante della nuova Press Card è l’introduzione della scritta PRESS, che consentirà di identificare immediatamente i giornalisti italiani, garantendo maggiore sicurezza soprattutto in contesti sensibili e in scenari internazionali. Questo elemento contribuirà a migliorare la tutela dei professionisti dell’informazione, riconoscendone il ruolo in situazioni critiche. Per dare avvio al progetto, il presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Carlo Bartoli, e il vicepresidente, Angelo Baiguini, hanno incontrato l’amministratore delegato dell’Istituto Poligrafico, Francesco Soro. Durante l’incontro, le parti hanno concordato sull’importanza del progetto, ritenendolo un passo avanti nell’innovazione delle procedure dell’Ordine e un’esperienza utile anche per altre categorie professionali regolamentate. Nelle prossime settimane, l’Istituto Poligrafico presenterà una serie di proposte grafiche per la nuova Press Card, sviluppate in base alle indicazioni fornite dal Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti. (In foto, i primi bozzetti-pilota per la Press Card)
Mediaset riorganizza i telegiornali: nuovi conduttori, spostamenti interni e assunzioni

Mediaset cambia i volti e le conduzioni nei suoi telegiornali. Luca Rigoni torna al Tg5 come caporedattore esteri, sostituendo Gabriella Simoni. Dopo aver lasciato il notiziario nel 2011 per fondare Tgcom24 con Mario Giordano, Rigoni ha condotto il Tg4 negli ultimi anni. Alla redazione economia del Tg5, Giuseppe De Filippi lascia la gestione dopo 25 anni e passa al coordinamento delle edizioni del giornale con Cesara Buonamici, Fabio Tamburini, Alfredo Vaccarella, Claudio Fico, Enrico Rondoni e Carlo Pilieci. Il nuovo capo della redazione è Manuela Riva, finora vicecaporedattrice. Il direttore Clemente J. Mimun annuncia l’assunzione a tempo indeterminato di Elena La Stella, Lorenzo Ottaviani, Federica Pascale e Jessica Balestra. Al Tg4, Laura Gioia prende il posto di Rigoni alla conduzione dell’edizione delle 12. A Studio Aperto torna un conduttore uomo: il direttore Andrea Pucci affida l’edizione delle 12.25 a Alan Patarga, già noto per le rubriche finanziarie di Tg5 e Tgcom24. Entra all’ufficio centrale anche Claudia Vanni, esperta di esteri e conduttrice di Tgcom24. Dietro le quinte, Fabrizio Filippone lascia il sito di Tgcom24 per coordinare la regia di Studio Aperto. Giuliana Grimaldi passa alla gestione web. Cambi anche a Diario del giorno, la striscia pomeridiana del Tg4: esce Eliano Rossi, che entra tra i coordinatori della redazione esteri di Tgcom24.
Nuovo look per Repubblica: più pagine e approfondimenti, ma il prezzo sale a 1,90€

La Repubblica cambia volto: un restyling che non è solo estetico, ma un rinnovamento profondo della sua identità. La nuova veste grafica, curata dall’art director Angelo Rinaldi con Francesco Franchi, ridefinisce l’equilibrio tra testo e immagini, valorizzando la lettura e rendendo l’informazione più chiara e accessibile. La grafica non è apparenza, ma sostanza: un linguaggio visivo che si evolve con i tempi e rafforza il legame con i lettori. Il giornale amplia la sua offerta informativa con più pagine, più notizie, più approfondimenti e una maggiore attenzione ai temi economici e finanziari, con un approccio divulgativo. La serializzazione, marchio di fabbrica di Repubblica, si arricchisce ulteriormente per offrire analisi sempre più approfondite e contestualizzate. Il sito web, leader nel panorama digitale, diventa ancora più coerente con la versione cartacea, garantendo una navigazione fluida tra le due dimensioni dell’informazione. Da oggi, il prezzo del quotidiano passa da 1,70 a 1,90 euro, un adeguamento necessario per sostenere un giornalismo di qualità, indipendente e rigoroso. Cresce anche l’attenzione per l’informazione locale, con edizioni dedicate alle principali città italiane, e si rafforza il legame con i settimanali, i mensili e i supplementi che arricchiscono l’offerta editoriale. In un contesto globale segnato da sfide epocali, Repubblica conferma la sua posizione chiara e indipendente. La battaglia contro populismi e sovranismi è prima di tutto culturale, in un momento di crisi della rappresentanza politica. La guerra in Ucraina, le tensioni in Medio Oriente e le trasformazioni negli Stati Uniti pongono interrogativi cruciali sul futuro dell’Europa. Per questo, la proposta di Michele Serra di una manifestazione con sole bandiere europee, in programma il 15 marzo a Roma, ha già raccolto migliaia di adesioni. L’apertura al pluralismo rimane un valore fondante del giornale: voci e opinioni diverse trovano spazio, ma sempre nel segno di una linea editoriale netta e riconoscibile. Essere indipendenti non significa essere neutrali: Repubblica continuerà a prendere posizione sui temi cruciali, offrendo un’informazione autorevole, approfondita e capace di interpretare la realtà. Il restyling non è solo un cambio di grafica, ma il segno tangibile di un impegno costante nell’evoluzione del giornalismo. Come spiegato nell’editoriale di Mario Orfeo, pubblicato oggi in prima pagina, il giornale cambia perché è parte integrante della società, non solo un suo specchio. L’aumento del prezzo è una scelta sofferta ma necessaria per garantire un’informazione di qualità, così come il potenziamento delle pagine di approfondimento e il rafforzamento del dibattito pubblico su temi cruciali. Repubblica conferma il suo impegno nel raccontare i cambiamenti del mondo con indipendenza, chiarezza e profondità.
L’IA distingue opinioni e notizie al Los Angeles Times

Il Los Angeles Times ha introdotto un innovativo strumento basato sull’intelligenza artificiale, denominato Insights, per valutare il tono politico degli articoli di opinione e fornire ai lettori una panoramica di punti di vista alternativi. Questa iniziativa si inserisce nella visione del proprietario Patrick Soon-Shiong, che intende rendere il giornale più equo ed equilibrato, limitando la predominanza di una sola narrativa nelle opinioni pubblicate. Il sistema Insights assegna un’etichetta politica agli articoli di opinione, collocandoli lungo uno spettro che va da sinistra a destra. Ad esempio, un pezzo sull’uso dell’intelligenza artificiale nei documentari è stato classificato come centro-sinistra, mentre un articolo critico nei confronti degli influencer Andrew e Tristan Tate è stato etichettato come di destra. Inoltre, ogni articolo viene accompagnato da un elenco di punti di vista alternativi, generati da algoritmi, per offrire ai lettori una maggiore pluralità di opinioni. Il nuovo approccio ha suscitato reazioni contrastanti all’interno della redazione. La decisione di Soon-Shiong di impedire l’endorsement a Kamala Harris durante la campagna elettorale ha già provocato la dimissione di figure di spicco della sezione opinioni, tra cui Mariel Garza e il premio Pulitzer Robert Greene. Il sindacato dei giornalisti ha espresso forti preoccupazioni, sottolineando che l’uso dell’intelligenza artificiale per analizzare articoli d’opinione potrebbe compromettere la fiducia nei media e che il giornale dovrebbe invece investire nelle risorse umane per migliorare la qualità del giornalismo. Parallelamente, il Washington Post, sotto la guida di Jeff Bezos, ha adottato una politica simile, stabilendo che la sezione opinioni dovrà pubblicare solo articoli che promuovano le libertà personali e i mercati liberi. Per distinguere con maggiore chiarezza le notizie dalle opinioni, il Los Angeles Times ha introdotto anche l’etichetta Voices, che identificherà tutti i contenuti con un punto di vista soggettivo. Questo nuovo approccio mira a fornire ai lettori una maggiore trasparenza nella distinzione tra fatti e commenti, evitando confusione tra reportage e articoli di opinione. Tuttavia, l’uso dell’intelligenza artificiale per classificare e contestualizzare le opinioni solleva interrogativi sulla sua affidabilità. Il Los Angeles Times stesso ha riconosciuto che gli algoritmi potrebbero produrre risultati imperfetti o incompleti, invitando i lettori a segnalare eventuali errori. Inoltre, la valutazione politica degli articoli sarà effettuata in collaborazione con Particle.News, una startup fondata nel 2024 da ex ingegneri di Twitter, il che sottolinea il crescente ruolo della tecnologia nell’influenzare il giornalismo. (In copertina, Patrick Soon-Shiong)