Il Tempo, 3 euro lordi ad articolo: condannato l’editore

Tre euro lordi ad articolo, condannato l’editore Angelucci. È quanto stabilito dal Tribunale del Lavoro di Roma nella causa intentata da una giornalista contro Il Tempo Srl, società editoriale del quotidiano romano controllato dalla famiglia Angelucci. La giudice Tiziana Orrù ha riconosciuto che la collaborazione della giornalista Giada Oricchio, attiva dal 2006, non era occasionale ma stabile, organica e continuativa. Per questo motivo, l’editore è stato condannato ad assumerla come collaboratrice fissa ai sensi dell’articolo 2 del Contratto nazionale di lavoro giornalistico e a versarle 266 mila euro di retribuzioni arretrate, oltre a 88 mila euro di contributi previdenziali non pagati, interessi e rivalutazioni compresi. La sentenza è arrivata il 18 giugno 2025, al termine di un lungo contenzioso iniziato nel 2023, quando Oricchio ha deciso di adire le vie legali dopo 17 anni di lavoro sottopagato. Secondo quanto emerso in udienza e riportato dal Fatto Quotidiano, il compenso medio per i suoi articoli variava tra 2 e 10 euro lordi, anche per oltre 200 pezzi al mese, pubblicati su carta e poi sul sito web del quotidiano. Gli argomenti trattati spaziavano dallo sport alla politica, fino a temi di attualità come la pandemia da Covid-19 o la guerra in Ucraina. Scriveva anche nei fine settimana e durante le festività, rispondendo direttamente alle richieste della redazione. “La sentenza è stata impugnata e la Società sta compiendo ogni opportuna valutazione in merito alla gestione del contenzioso”, ha dichiarato Tosinvest, la holding finanziaria degli Angelucci, che ha acquisito Il Tempo nel 2016. L’obbligo di risarcimento si riferisce proprio a questo periodo: i dieci anni precedenti sono stati esclusi dalla decisione, in quanto coperti da un concordato preventivo della vecchia società editrice, guidata dall’imprenditore Domenico Bonifaci. In quegli anni Oricchio lavorava con un contratto co.co.co., poi trasformato in cessione di diritti d’autore, senza miglioramenti economici significativi. Durante il procedimento, la giudice Orrù ha invitato più volte la parte datoriale a valutare una transazione extragiudiziale, ma la proposta è stata respinta. Nella motivazione della sentenza, la giudice ha richiamato l’orientamento della Corte di Cassazione, secondo cui ciò che conta è “l’inserimento continuativo e organico delle prestazioni nell’organizzazione dell’impresa”, indipendentemente dalla forma contrattuale. A fornire assistenza legale alla giornalista è stata Giuliana Quattromini, avvocata del lavoro e membro dell’Associazione Comma 2, che tutela i diritti dei collaboratori non contrattualizzati. “È sempre più difficile far comprendere certe situazioni ai giudici, questa volta abbiamo trovato un giudice che ha voluto comprendere”, ha dichiarato Quattromini dopo il verdetto. Secondo dati citati da Il Fatto Quotidiano, oggi in Italia ci sono circa 26 mila collaboratori non assunti a fronte di meno di 14 mila giornalisti contrattualizzati, di cui solo duemila lavorano in Rai. La Fnsi, il sindacato dei giornalisti, da tempo chiede l’introduzione di regole stringenti contro il sottosalario e le false collaborazioni, che restano una pratica diffusa anche in testate nazionali. (In foto, Antonio Angelucci)
Lucia Goracci minacciata da colono armato in diretta

Il 29 luglio, in Cisgiordania, l’inviata del Tg3 Lucia Goracci e il suo operatore Ivo Bonato sono stati minacciati da un colono armato mentre stavano realizzando un servizio nei pressi dell’insediamento di Carmel, a sud di Hebron. I due giornalisti stavano documentando l’uccisione di Awdah Athaleen nel villaggio palestinese di Umm al Khair, attribuita a un colono di nome Ynon Levi. Durante una diretta, un uomo si è avvicinato con il suo pick-up, ha bloccato la via d’uscita, ha iniziato a sgommare e ha mostrato di avere una pistola alla fondina. Secondo quanto riportato dalla giornalista, il colono ha scattato delle foto, ha chiesto chi fossero, e ha ripetuto le frasi “tu sei appena stata nel villaggio palestinese” e “liar, friend of filastin”, che significa “bugiardi e amici dei palestinesi”. L’episodio non è stato inizialmente segnalato all’azienda. In un video trasmesso dalla Rai, Goracci ha spiegato: “Ci sono dei coloni che stanno cercando di impedirci di fare questa diretta, per ora solo usando i clacson”. Successivamente, ha descritto sui social quanto accaduto, riferendo che il clima si è fatto via via più teso fino al momento del blocco stradale da parte del colono. La Rai, attraverso una nota ufficiale, ha espresso “il pieno sostegno e l’apprezzamento per il lavoro svolto” da Goracci e Bonato, sottolineando l’impegno dell’azienda “affinché gli inviati possano continuare a raccontare il conflitto in Medio Oriente in condizioni di maggior sicurezza possibile”. Solidarietà è arrivata da numerose voci istituzionali e sindacali. La presidente della commissione di vigilanza Rai, Barbara Floridia, ha dichiarato che si tratta di un episodio “tanto grave quanto sintomatico del clima in cui sono costretti a lavorare i reporter nei territori occupati”, richiamando l’attenzione sui limiti imposti dall’autorità israeliana all’accesso dei giornalisti nella Striscia di Gaza. Anche la Fnsi, Federazione nazionale della stampa italiana, è intervenuta, evidenziando come “una parte di Israele stia consapevolmente tagliando le radici democratiche del Paese” e denunciando “l’intolleranza e la violenza” nei confronti dei reporter. La segretaria generale Alessandra Costante ha affermato che “non è più tempo di tattiche: come tutte le grandi potenze europee, l’Italia deve riconoscere lo Stato di Palestina”. L’Usigrai ha espresso vicinanza ai due giornalisti e ha sottolineato l’importanza di tutelare l’incolumità degli inviati, soprattutto in aree di crisi. Nella nota si denuncia anche la difficoltà, per i giornalisti stranieri, di entrare a Gaza, e si segnala l’iniziativa “Alziamo la voce per Gaza”, promossa per sostenere i giornalisti colpiti dal conflitto.
“Il NYT mente” sui muri della sede di Manhattan dopo correzione su bambino di Gaza con malattia preesistente

Il 31 luglio 2025, a New York City, l’edificio del New York Times è stato imbrattato con scritte e vernice spray da persone non identificate. Come mostrato in immagini pubblicate dal Jerusalem Post, sulla facciata è apparsa la frase: “Il NYT mente, GAZA muore”. Anche porte e finestre sono state parzialmente ricoperte di vernice rossa. L’atto vandalico è avvenuto poche ore dopo che il quotidiano statunitense aveva modificato un articolo sulla carestia a Gaza. L’articolo, pubblicato martedì, raccontava la storia di Mohammed Zakaria al-Mutawaq, un bambino di Gaza presentato in prima pagina come gravemente malnutrito. In una nota diffusa su X/Twitter, il New York Times ha dichiarato: “Da allora abbiamo appreso nuove informazioni, tra cui quelle relative all’ospedale che lo ha curato e alla sua cartella clinica, e abbiamo aggiornato la nostra storia per aggiungere contesto ai suoi problemi di salute preesistenti”. Secondo quanto riportato dai media israeliani, la correzione è stata sollecitata dal Consolato Generale israeliano a New York dopo che la foto del bambino insieme al fratello si era diffusa sui social. Il Console Generale Ofir Akunis ha commentato: “È un peccato che i media internazionali cadano ripetutamente nella trappola della propaganda di Hamas. Prima pubblicano, poi verificano, se mai lo fanno”. Anche l’ex primo ministro Naftali Bennett ha espresso critiche, scrivendo su X: “È semplicemente incredibile. Dopo aver generato uno tsunami di odio verso Israele con quella foto terrificante, il NYT ora ammette silenziosamente che il ragazzo soffre di patologie pregresse”. Bennett ha aggiunto: “NYT, sapevate che Hamas usa bambini con malattie preesistenti. Lo diciamo da mesi ormai. Sapevate esattamente cosa avrebbe causato questa foto. Questa è una calunnia del sangue nel 2025. Non avete vergogna?”. L’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite, Danny Danon, ha accusato il giornale di aver diffuso una “bugia” e una “diffamazione del sangue” utilizzando l’immagine in copertina. In un’intervista con Piers Morgan, diffusa su X, Danon ha affermato: “La foto era una bugia, che il giornale ha ritrattato. Ma il modo in cui l’hanno ritrattata è stato altrettanto vergognoso”. Il giornalista indipendente David Collier ha scritto su X: “Non c’è niente di bello in tutto questo. Con @bbcnews costretta a rimuovere un documentario perché la star era il figlio di un ministro di Hamas. E ora, la maggior parte dei media tradizionali deve ammettere di aver utilizzato foto ingannevoli. Non possiamo fidarci di un media che continua a mentirci”. Durante la stessa intervista, Piers Morgan ha espresso una posizione diversa, affermando: “Il ragazzo era chiaramente emaciato! È evidente che non mangia!”. (credito fotografico : SCREENSHOT/VIA SEZIONE 27A DEL COPYRIGHT ACT)
I polli misurano l’indipendenza dei media: Bloomberg virtuosa, New York Times vulnerabile

Martedì 29 luglio, l’organizzazione non profit Free Press ha pubblicato il nuovo Media Capitulation Index, una classifica che misura quanto le maggiori aziende media e tech statunitensi abbiano ceduto alle pressioni politiche o economiche, specialmente in relazione all’amministrazione Trump. Il report valuta 35 aziende secondo una scala visiva da uno a cinque polli (🐔), simbolo ironico ma chiaro di capitolazione. Solo due aziende – Bloomberg e Netflix – ricevono una stella (⭐) per l’indipendenza. Free Press, fondata nel 2003, lavora per garantire un sistema mediatico più giusto, democratico e inclusivo. L’organizzazione si batte per un giornalismo indipendente, l’accesso equo alla tecnologia, la proprietà diversificata dei media e la libertà di espressione, con un’attenzione particolare alla giustizia razziale e alla trasparenza del potere. Non accetta fondi da aziende, governi o partiti politici, ed è sostenuta esclusivamente da donatori privati. Secondo Free Press, le grandi aziende mediatiche hanno un’influenza enorme sulle decisioni politiche e sul dibattito pubblico. Molte dipendono da favori governativi come appalti, fusioni approvate o incentivi fiscali. Questo legame spiega, in molti casi, il motivo per cui tante realtà del settore abbiano ridotto la propria indipendenza editoriale. “In molti casi, la domanda non è ‘chi possiede i media?’, ma ‘chi possiede i proprietari dei media?’”, scrive Free Press. “Questo tracker fornisce ai lettori una risposta spesso inquietante”. Nel Media Capitulation Index, ogni azienda è valutata per il suo livello di indipendenza editoriale, trasparenza, pressione politica e influenza economica. La scala va da ⭐ (indipendente) a 🐔🐔🐔🐔🐔 (propaganda). La virtuosa Bloomberg Tra i pochi casi virtuosi ci sono Bloomberg, una delle pochissime aziende editoriali a opporsi apertamente all’amministrazione Trump. Il fondatore Michael Bloomberg ha condannato la corruzione e gli abusi del primo mandato di Trump, invitando le istituzioni a reagire. Dopo il ritiro dagli Accordi di Parigi, si è impegnato a coprire le quote americane. Ha definito Trump “inadatto a una carica di alto livello” e ha criticato duramente l’assalto al Campidoglio. L’azienda, privata, è attiva nel giornalismo e nei servizi finanziari digitali (agenzia stampa, tv, radio, riviste). Promuove ufficialmente inclusione e pari opportunità. Politicamente, Bloomberg è passato dai Repubblicani ai Democratici, finanziando campagne progressiste. Nel 2020 si è candidato alle primarie democratiche. La sua società ha speso 370.000 dollari in lobbying e i dipendenti hanno contribuito con oltre 64 milioni di dollari ai candidati politici nel ciclo 2024. NYTimes valutato “vulnerabile” Nel Media Capitulation Index di Free Press, The New York Times Company è classificata con un pollo (🐔), indicata come “vulnerabile”. La valutazione si basa soprattutto su un elemento ricorrente: i titoli degli articoli, considerati da Free Press un tentativo maldestro di “obiettività da entrambe le parti”, che finisce però per normalizzare il trumpismo anche nei suoi aspetti più estremi. Un esempio citato risale all’ottobre 2024: il titolo “In alcune dichiarazioni sui migranti, Donald Trump ha invocato la sua antica passione per i geni e la genetica”. Secondo l’ex redattrice del Times Margaret Sullivan, quel titolo trasforma un’affermazione carica di implicazioni razziste in una curiosità intellettuale. Altro episodio rilevante riguarda un caso di presunta corruzione internazionale: dopo che Trump ha accettato un jet di lusso da 400 milioni di dollari dalla famiglia reale del Qatar, il titolo scelto dal Times ha descritto la vicenda dicendo che l’operazione “supera i limiti della decenza”, evitando espressioni più chiare sul significato politico dell’accaduto. Nel 2024, l’editore del Times AG Sulzberger ha spiegato questa impostazione editoriale dichiarando che non è responsabilità del giornale “mettere in guardia i lettori” da derive autoritarie: “L’allarme sembra così forte e così costante che gran parte del pubblico ha ormai messo i tappi nelle orecchie”, ha detto in un discorso pubblico. Anche se nel 2025 ha poi adottato toni più duri in difesa della stampa indipendente, Free Press rileva una continuità nel tono neutro della copertura, anche su fatti gravi. Un altro aspetto criticato riguarda la sezione Stile, accusata di trattare con leggerezza figure legate all’amministrazione Trump, pubblicando articoli che elogiano scelte sartoriali e look di esponenti dell’autoritarismo, come se l’estetica fosse separata dalla politica. “È come se il Times stesse dicendo ai lettori che la fine della democrazia non è importante, finché si indossano abiti Givenchy”, osserva Free Press nel rapporto. Il New York Times Co., con una capitalizzazione di mercato di 9,07 miliardi di dollari, possiede il quotidiano omonimo, l’International Herald Tribune, diversi podcast prodotti anche in collaborazione con Serial Productions, e conta quasi 11 milioni di abbonati (dato aggiornato a maggio 2024). Sul proprio sito, la società afferma l’impegno verso un ambiente di lavoro diversificato, equo e inclusivo, in linea con la propria missione di “cercare la verità e aiutare le persone a comprendere il mondo”. Dal punto di vista politico, secondo il Center for Responsive Politics, i dipendenti del New York Times hanno donato complessivamente 247.284 dollari durante il ciclo elettorale 2024, di cui oltre il 94% è andato a candidati Democratici. Questo dato non influisce direttamente sul punteggio dell’indice, ma viene riportato nel quadro più ampio dei legami tra media e politica. Altri casi degni di nota Tra gli altri casi analizzati nel rapporto, Meta ottiene quattro polli, accusata di “aver abbracciato tutto ciò che riguarda Trump”. Alphabet, società madre di Google, riceve due polli per contratti governativi e investimenti comuni nel settore della difesa. Warner Bros. Discovery ottiene tre polli per le presunte pressioni esercitate sulla CNN. Trump Media e X/SpaceX sono classificate al massimo della scala: cinque polli per allineamento propagandistico. Degna di nota è anche Netflix, il cui CEO ha mantenuto una linea indipendente, criticando pubblicamente Trump e sostenendo la sua opposizione. Il rapporto è accompagnato da una pubblicazione aggiuntiva, “A More Perfect Media”, che propone una serie di raccomandazioni concrete per la costruzione di un sistema mediatico più libero e democratico. L’autore Tim Karr ha dichiarato: “Queste aziende esistono grazie alle politiche pubbliche. Esiste un autentico movimento popolare per creare un sistema mediatico più democratico. La gente dovrebbe partecipare attivamente a questo dibattito”.
Modella AI in copertina: Vogue America ospita Guess estate

Guess ha presentato per la campagna estate 2025 una modella generata interamente con l’intelligenza artificiale, utilizzata per la prima volta su una testata di rilievo come Vogue America. Il debutto è avvenuto nel numero di agosto della rivista, dove un’immagine ritrae una figura femminile bionda, con tratti regolari e pelle senza imperfezioni, vestita con un abito a zig zag beige e nero. Accanto alla foto, nei crediti, la dicitura: “Prodotta da Seraphine Vallora con l’intelligenza artificiale”. Seraphine Vallora non è una fotografa, ma un’agenzia di marketing specializzata in AI, fondata dalle imprenditrici Valentina Gonzalez e Andreea Petrescu, contattate direttamente da Paul Marciano, co-fondatore di Guess, tramite Instagram. L’agenzia ha impiegato un mese per sviluppare la modella, in un processo che ha richiesto un investimento a sei zeri. Secondo quanto dichiarato alla BBC, il lavoro ha coinvolto anche professionisti reali, come modelle e fotografi, necessari per garantire una resa credibile dei capi e dei dettagli visivi. Le fondatrici dell’agenzia parlano di “momento storico”, pur specificando che il loro obiettivo non è sostituire i set fotografici tradizionali, bensì offrire un’alternativa per raccontare i prodotti attraverso nuove tecnologie. Le immagini prodotte mostrano pose, luci e tessuti difficilmente distinguibili da un servizio fotografico reale. Altre foto della campagna ritraggono la modella seduta a un tavolo con una tutina a fiori e gioielli a forma di cuore, confermando l’alto livello di dettaglio ottenuto. La campagna ha generato reazioni contrastanti. Se da un lato viene celebrata come innovazione tecnologica, dall’altro emergono critiche legate alla standardizzazione della bellezza, alla trasparenza dei contenuti generati e alla sostenibilità occupazionale nel mondo della moda. Fotografi, truccatori, stylist, parrucchieri e modelle esprimono preoccupazione per il futuro della professione in un settore sempre più attratto dall’automazione. Sui social media, l’hashtag “Real is better” è stato utilizzato per rivendicare la centralità del fattore umano, mentre si diffondono post che celebrano la creatività dei servizi fotografici tradizionali. Alcuni utenti hanno sottolineato il rischio di una perdita della componente emotiva e identitaria legata al corpo reale. La pubblicazione su Vogue America è percepita come un’autorevole legittimazione del modello estetico artificiale, come osservato dall’ex modella e imprenditrice Sinead Bovell: “Vogue è la corte suprema della moda. Se accetta l’intelligenza artificiale, allora per il settore diventa ufficialmente una pratica accettabile”. Tra le critiche principali c’è quella legata alla rappresentazione stereotipata del corpo femminile. Secondo la modella curvy Felicity Hayward, si tratta di “un altro calcio nei denti” per chi promuove l’inclusività: “Per chi è diversamente bella c’è sempre meno lavoro”. La CEO dell’organizzazione benefica Beat, Vanessa Longley, ha sottolineato alla BBC i rischi per la salute mentale: “Esporre continuamente le persone a corpi irrealistici aumenta il rischio di disordini alimentari e problemi legati alla percezione del proprio corpo”.
SEO superata da AEO, GEO e AIO nella ricerca AI

In pochi mesi, la tradizionale ottimizzazione per i motori di ricerca (SEO) ha ceduto il passo a nuovi modelli pensati per l’interazione con l’intelligenza artificiale. Come riportato da Primaonline, si chiamano AEO (Answer Engine Optimization), GEO (Generative Engine Optimization) e AIO (Artificial Intelligence Optimization), e rappresentano l’adattamento dei contenuti digitali non più alle logiche dei motori classici come Google, ma agli algoritmi dei nuovi motori conversazionali basati su modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM). Il cambiamento è stato accelerato dall’introduzione di funzionalità come gli AI Overviews, attivi su Google, che rispondono direttamente alle domande degli utenti sintetizzando le informazioni disponibili online, riducendo la necessità di cliccare sui link nei risultati. Secondo dati riportati dal New York Post, il 69% delle ricerche di notizie su Google oggi si conclude senza clic su alcun sito esterno. Solo un anno fa la percentuale era del 56%. Il traffico verso i siti editoriali è sceso da 2,3 miliardi a meno di 1,7 miliardi di visite, con un impatto diretto su editori, brand e creatori di contenuti. La SEO, pensata per favorire la visibilità nei risultati tradizionali, non è più sufficiente. Le nuove tecniche di ottimizzazione rispondono alla necessità di essere citati come fonti autorevoli dai modelli generativi, che producono contenuti invece di limitarli a elencare. Con l’AEO, l’obiettivo è adattarsi ai motori di risposta, cioè sistemi in grado di fornire risposte complete, evitando all’utente la navigazione verso siti esterni. La GEO mira invece a strutturare i contenuti in modo che siano leggibili, affidabili e pronti per essere rielaborati dall’intelligenza artificiale. L’AIO, infine, punta sull’autorevolezza, sulla firma riconoscibile e sulla provenienza certa dell’informazione, elementi che aumentano la probabilità che un contenuto venga scelto dall’AI. In questo scenario emergono piattaforme alternative come Comet, sviluppata da Perplexity, che integra capacità generative e propone una navigazione orientata alla risposta, basata su fonti tracciabili e riassunti contestualizzati. Comet ha già raccolto 165 milioni di dollari da investitori come Jeff Bezos e punta a sostituire Google non solo nella funzione di ricerca, ma anche come porta d’accesso al web. Anche OpenAI sta lavorando a un proprio browser con ChatGPT integrato, progettato per trattenere le ricerche e le interazioni all’interno dell’ecosistema aziendale. Per le aziende editoriali, questo rappresenta un cambio radicale: non si tratta più di farsi trovare, ma di essere scelti dall’AI, che decide quali fonti mostrare, citare o sintetizzare. Il nuovo paradigma porta con sé sfide anche sul piano dell’affidabilità. Studi condotti dall’Università di Zurigo hanno rilevato che la disinformazione generata dall’intelligenza artificiale è spesso percepita come più credibile rispetto a quella prodotta da esseri umani. Il rischio di errori, distorsioni o informazioni inventate impone nuove cautele nella produzione e nella verifica dei contenuti. (Foto creata con ChatGPT)
Papa Leone XIV: “grazie ai giornalisti della pace e verità”
“Grazie a tutti i giornalisti che contribuiscono ad una comunicazione di pace e di verità”: lo ha detto il Papa Leone XIV nel corso dell’Angelus di domenica 27 luglio 2025 rivolgendosi, riporta l’agenzia Ansa, in particolare ai media vaticani che in questi giorni del Giubileo dei giovani hanno anche una postazione al colonnato di San Pietro.
Appello dei giornalisti AFP a Gaza: “Ci rifiutiamo di vederli morire”

Il 21 luglio 2025, l’SDJ, sindacato dei giornalisti dell’agenzia France Presse (AFP), ha lanciato un appello urgente per i propri collaboratori freelance attivi nella Striscia di Gaza, denunciando un rischio concreto di morte per fame. Attualmente, AFP opera nell’enclave con un team composto da un cronista, tre fotografi e sei videomaker, tutti locali. L’accesso ai media internazionali è interdetto dal 2023, e la copertura giornalistica è garantita solo da operatori sul campo. “Ci rifiutiamo di vederli morire”, si legge nel comunicato diffuso dal consiglio direttivo uscente del sindacato. I giornalisti locali lavorano in condizioni estreme, vivendo sotto i bombardamenti, privi di alimentazione adeguata, assistenza sanitaria e accesso a beni di prima necessità. Uno di loro, Bashar, collabora con AFP dal 2010 e ricopre il ruolo di fotografo principale dal 2024. Il 19 luglio ha scritto pubblicamente: “Non ho più la forza di lavorare per i media. Il mio corpo è debilitato e non riesco più a muovermi”. Bashar vive con la famiglia tra le rovine della sua abitazione a Gaza City, senza elettricità, acqua o letti. Il 20 luglio ha riferito la morte per fame di uno dei suoi fratelli. “Per la prima volta, mi sento sconfitto”, ha dichiarato. “Vorrei che Macron mi aiutasse a uscire da questo inferno”. Secondo SDJ, anche i giornalisti regolarmente pagati non possono acquistare beni: i prezzi sono esorbitanti, il sistema bancario è inattivo, e il cambio tra valuta elettronica e contante comporta commissioni fino al 40%. L’agenzia non è più in grado di usare veicoli per spostare il personale, a causa dell’impossibilità di reperire carburante e del rischio di essere colpiti dall’aviazione israeliana. Le trasferte avvengono quindi a piedi o su carretti trainati da animali. Ahlam, una videomaker attiva nel sud della Striscia, continua a lavorare. “Ogni volta che esco per documentare qualcosa, non so se tornerò viva”, ha dichiarato. “Il problema principale è la mancanza di cibo e acqua”. Il sindacato denuncia che i giornalisti sono esausti, malnutriti, spesso incapaci di camminare per coprire gli eventi. “Le loro richieste d’aiuto sono quotidiane”, si legge nel testo diffuso da SDJ. “La loro vita è appesa a un filo. Il coraggio che li ha sostenuti per mesi non basta più”. Nonostante tutto, Ahlam prosegue. “Cerco di continuare a fare il mio lavoro, dare voce alla popolazione, documentare la verità. Resistere non è una scelta: è una necessità”. SDJ ricorda che, dalla fondazione dell’agenzia nel 1944, alcuni reporter AFP sono stati uccisi, feriti o imprigionati in zone di conflitto. Ma mai prima d’ora era accaduto che colleghi rischiassero di morire di fame sotto gli occhi della redazione.
Fnsi-Fieg, salta la trattativa sul contratto dei giornalisti: offerta economica irricevibile

Dopo oltre quindici mesi di trattative, si è interrotta la negoziazione tra Fnsi e Fieg per il rinnovo del contratto collettivo nazionale dei giornalisti. Le parti, abbandonata l’ipotesi di un rinnovo organico, stavano lavorando a un accordo ponte triennale di carattere esclusivamente economico. Tuttavia, l’offerta avanzata dagli editori, pari a 150 euro mensili sotto forma di EDR (elemento distinto della retribuzione), ha determinato uno stop improvviso al confronto. L’incremento proposto, non incidendo sui minimi retributivi né su altri istituti contrattuali, avrebbe lasciato fermi i parametri salariali al 2012. A questa offerta, gli editori hanno affiancato la richiesta di modifica della normativa relativa al salario di ingresso, meccanismo che prevede un trattamento economico ridotto per i neoassunti. La Federazione nazionale della stampa italiana ha giudicato la proposta irricevibile per due motivi principali. Il primo riguarda la necessità di un aumento contrattuale pieno, in grado di compensare l’effetto dell’inflazione, stimata dall’Istat al 19,3% nel periodo compreso tra aprile 2016 e gennaio 2025. Il blocco degli stipendi avrebbe prodotto, secondo la Fnsi, un forte impoverimento della categoria, con particolare impatto sui corrispondenti locali (articolo 12) e sui collaboratori fissi (articolo 2), spesso al di sotto della soglia di sussistenza. Il secondo motivo riguarda l’opposizione al salario di ingresso, ritenuto un sistema che non garantisce assunzioni né stabilizzazioni, e che sarebbe utilizzato dagli editori solo per ridurre i costi legati agli obblighi contrattuali derivanti dai prepensionamenti. Dopo il passaggio delle funzioni previdenziali all’Inps, gli stati di crisi non comportano infatti più oneri diretti per le aziende editoriali. “Fnsi ritiene – dichiara la segretaria generale Alessandra Costante – che il settore abbia necessità di un contratto che possa traghettare l’informazione nel futuro tenendo conto delle nuove sfide portate dalle Intelligenze Artificiali e affrontando i nodi, ancora non sciolti a distanza di decenni, che riguardano la tutela del diritto d’autore e del lavoro dei giornalisti quotidianamente saccheggiato dai giganti del web e non adeguatamente retribuito per gli autori nella totale inadempienza della legge sull’equo compenso. E non si può certo dimenticare la progressiva destrutturazione del contratto, indebolito dalle aziende attraverso accordi unilaterali con i lavoratori più deboli, e lo sfruttamento sempre più grave dei lavoratori autonomi e dei collaboratori coordinati e continuativi per i quali Fnsi torna a chiedere l’immediata convocazione del tavolo in sede governativa sull’equo compenso istituito dalla legge 233/2012“. (In foto, Alessandra Costante)
Associated Press esclusa dalla Casa Bianca: i giudici danno ragione a Trump

Una corte d’appello ha respinto la richiesta dell’Associated Press di revocare le restrizioni imposte dalla precedente amministrazione Trump sull’accesso dei suoi giornalisti alla Casa Bianca. La decisione conferma quanto stabilito il 6 giugno da un collegio di tre giudici, secondo cui l’amministrazione può legalmente limitare l’accesso dell’agenzia di stampa agli eventi nello Studio Ovale e in altri spazi ufficiali sotto il controllo della Casa Bianca, compresi l’Air Force One e i briefing presidenziali. Il contenzioso si trascina da febbraio, quando l’Associated Press si è rifiutata di adottare la dicitura “Golfo d’America” al posto del tradizionale “Golfo del Messico“, come richiesto dall’allora presidente.