La Repubblica verso Grecia e Arabia Saudita. A rischio oltre 100 posti di lavoro

La vendita di Repubblica e delle radio collegate è attesa da metà dicembre, a partire dal giorno 15, dopo che Exor ha rinnovato per altri due mesi il patto di esclusiva con il potenziale acquirente greco Theodore Kyriakou, collegato a investitori sauditi. La notizia è stata comunicata in riunioni interne e riguarda uno dei giornali più conosciuti in Italia. Exor, guidata da John Elkann, ha acquistato il gruppo Gedi alla fine del 2019 e in cinque anni ha venduto molti giornali, lasciando ora in campo i marchi più grandi. Nei giorni scorsi il Direttore Mario Orfeo, il 4 dicembre, e i rappresentanti dell’azienda, il 5 dicembre, hanno spiegato al Comitato di redazione che la cessione è probabile e potrebbe avvenire in tempi brevi. Sono state comunicate anche altre informazioni: l’accordo sul lavoro da remoto dovrebbe valere solo per altri sei mesi, mentre Elkann ha detto di voler essere presente alla festa per i 50 anni del giornale prevista il 18 gennaio. Secondo quanto spiegato nelle riunioni, se la vendita non dovesse andare in porto e la proprietà restasse a Gedi, nella primavera 2025 potrebbero esserci tagli, perché il passivo previsto per il prossimo anno è più pesante di quello del 2024. Prepensionamenti e cassa integrazione usati finora non sarebbero stati sufficienti. L’azienda ha detto che la produzione editoriale è stata soddisfacente, con perdite di copie e numeri di abbonamenti digitali in linea con le previsioni. Nel caso di acquisto da parte di Kyriakou, alcune ricostruzioni interne parlano dell’idea di un giornale più snello, con un possibile taglio dell’organico, oggi formato da 315 giornalisti. Le voci interne parlano di 100 o 140 persone, ma l’azienda ha smentito questi numeri, ricordando che le garanzie occupazionali sono previste dai contratti. Le cifre indicate coincidono con il numero di giornalisti delle nove edizioni locali del quotidiano. Il Comitato ha chiesto tutele per il lavoro e rispetto della storia del giornale. Tra gli asset in vendita rientrano anche Radio Deejay, Radio Capital e M2o, considerate le attività più redditizie del gruppo, con circa 60 milioni di ricavi e 10 milioni di utili. Nel 2020 Exor ha pagato 220 milioni di euro per acquistare tutto il gruppo Gedi. Oggi Repubblica e La Stampa sono iscritte a bilancio per un valore di circa 72 milioni. Accanto alla vendita a soggetti esteri, è stato discusso un secondo scenario: secondo fonti interne, il ministero dell’Economia potrebbe voler evitare la cessione all’estero e favorire una cordata italiana per acquistare Repubblica e Agi, già coinvolta in trattative editoriali negli ultimi mesi. Questa ipotesi riguarderebbe anche testate vicine a editori che possiedono Giornale, Libero e Tempo. In queste ricostruzioni si parla di una possibile modifica della linea editoriale, poiché Repubblica è indicata come una delle poche testate che seguono con attenzione l’attività del governo Meloni. Il Comitato di redazione e i fiduciari hanno convocato una assemblea per il 9 dicembre per discutere del futuro del giornale. L’obiettivo comunicato è difendere posti di lavoro, evitare lo smantellamento della testata e chiedere chiarimenti alla proprietà sulle sue intenzioni. Nelle comunicazioni interne è stato ricordato che negli ultimi dodici anni ci sono stati cinque stati di crisi e che settanta giornalisti hanno lasciato il giornale tramite prepensionamento durante l’ultimo intervento. (In foto, Mario Orfeo e John Elkann)
Toronto, un redattore scopre articoli con citazioni inventate e identità dubbie da presunta autrice

Un redattore di Toronto ha scoperto che alcune storie offerte alla sua redazione erano scritte in modo strano e con citazioni che non sembravano vere. Questo è successo in un momento in cui, tre anni dopo l’arrivo di ChatGPT, molti testi creati con intelligenza artificiale appaiono online e possono sembrare reali anche quando non lo sono. Il fatto riguarda il mondo del giornalismo, che deve controllare con molta attenzione ciò che pubblica perché alcune persone usano la tecnologia per creare articoli che sembrano corretti ma contengono errori o persone che non esistono. Il redattore si chiama Nicholas Hune-Brown e lavora per una rivista online chiamata The Local. Un giorno ha ricevuto una proposta da una persona che si presentava come Victoria Goldiee. Diceva di aver già scritto per molte riviste. Hune-Brown ha cercato velocemente il suo nome e ha trovato articoli che sembravano confermare il curriculum. Ma leggendo le sue email, qualcosa non lo convinceva: il modo di scrivere era duro e strano, come se non fosse naturale. Hune-Brown ha iniziato a controllare meglio e ha scoperto che alcune frasi citate negli articoli non erano mai state dette dalle persone indicate. Il designer Young Huh, citato in un testo di design, ha spiegato: “Non ho parlato con questo giornalista e non ho rilasciato questa dichiarazione”. Una ex direttrice di una rivista, Nancy Einhart, ha detto: “Per quanto mi ricordo, gli articoli firmati da Victoria prendevano troppo in prestito da articoli pubblicati altrove”. Ha aggiunto che altri due editori l’avevano contattata con gli stessi dubbi, come se la scrittrice stesse inviando proposte a molte redazioni nello stesso periodo. Hune-Brown è riuscito a parlare con Goldiee al telefono, ma quando ha fatto domande più precise la chiamata è finita di colpo. Non è chiaro se Victoria Goldiee sia una persona vera o uno pseudonimo usato da qualcuno che sfrutta l’IA per scrivere velocemente. Non è un caso isolato. Anche riviste famose come Wired e Quartz hanno pubblicato articoli con citazioni inventate. Alcuni finti giornalisti inviano testi pieni di parole autoritarie, sperando che la redazione li pubblichi senza controllare troppo. Questo succede perché molte aziende editoriali stanno attraversando un periodo difficile, con licenziamenti, meno personale e poco tempo per verificare ogni informazione. La tecnologia ha reso più facile creare articoli e email che sembrano creati da professionisti, anche se non è così. Nel frattempo, Google sta mostrando riepiloghi creati da sistemi automatici, così molte persone leggono le risposte senza cliccare sui link dei giornali. Questo riduce i soldi ottenuti dagli annunci pubblicitari, che servono per sostenere il lavoro dei giornalisti. Hune-Brown ha scritto che i truffatori “approfittano di un ecosistema particolarmente vulnerabile alle frodi”, dove i controlli sono più difficili e dove il confine tra giornalismo e “contenuto” è diventato più confuso. Alcune testate, tra cui The Guardian e Dwell, hanno tolto dal sito gli articoli attribuiti a Goldiee dopo le verifiche. Hune-Brown ha raccontato che l’esperienza gli ha fatto cambiare il modo di leggere le proposte che riceve. Ha scritto che un tempo cercava di rispondere a tutti, soprattutto ai giovani autori. Ora invece vede una “patina sintetica dell’intelligenza artificiale” e ha paura di perdere tempo dietro a testi creati da macchine. “Probabilmente c’erano dei giovani scrittori promettenti sepolti da qualche parte lì dentro”, ha detto. “Ma non potevo permettermi di rovistare tra quelle stronzate per cercare di trovarli”. (Foto di copertina creata con AI)
Il New York Times fa causa al Pentagono: stretta su accesso e sanzioni ai reporter

Il New York Times ha presentato una causa federale a Washington, contro il Dipartimento della Difesa e il segretario Pete Hegseth, dopo l’introduzione di nuove regole che limitano il lavoro dei giornalisti assegnati al Pentagono. L’azione legale è stata avviata perché le disposizioni vengono considerate dal quotidiano una violazione della libertà di stampa garantita dal Primo Emendamento. Secondo il giornale, le regole decidono cosa i reporter possano o non possano chiedere e pubblicare, riducendo il loro accesso alle informazioni pubbliche su attività militari e decisioni governative. La causa è stata depositata nel tribunale distrettuale della capitale, spiegando che i nuovi limiti obbligano i reporter a firmare un modulo di 21 pagine. Quel documento vieta di “sollecitare dipendenti governativi a violare la legge fornendo informazioni governative riservate” e riduce la libertà di movimento all’interno del quartier generale del Pentagono. Il NYT sostiene che la politica possa portare a sanzioni se viene pubblicata “qualsiasi informazione non approvata dai funzionari del dipartimento”, anche quando raccolta fuori dal Pentagono. Il portavoce del quotidiano Charlie Stadtlander ha parlato di “un tentativo di esercitare controllo sul reporting che il governo non gradisce”, dichiarando che il giornale “intende difendersi con vigore contro la violazione di questi diritti”. La reazione dei media è stata immediata. In ottobre, le principali agenzie e testate statunitensi, tra cui Associated Press, Reuters, Washington Post, Guardian, Atlantic, hanno restituito gli accrediti, spiegando che la nuova policy è “senza precedenti” e che “minaccia protezioni giornalistiche fondamentali”. Le reti televisive Abc, Cbs, Cnn, Nbc, Fox News e la conservatrice NewsMax hanno comunicato che continueranno a seguire le notizie riguardanti le forze armate, affermando di voler sostenere i principi di una stampa libera e indipendente. Le uniche testate che hanno accettato e firmato le nuove regole sono One America News Network, il New York Post e Breitbart News. Il Pentagono ha respinto le accuse. Il portavoce Sean Parnell ha dichiarato che la policy “non chiede loro di essere d’accordo, solo di riconoscere di aver capito qual è la nostra politica”. Secondo Parnell, la reazione dei giornalisti sarebbe stata eccessiva: “Questo ha portato i reporter ad avere un crollo totale e a piangersi addosso online. Sosteniamo la nostra politica perché è ciò che è meglio per le nostre truppe e per la sicurezza nazionale di questo paese”. Il cambio di atmosfera è apparso evidente nei briefing più recenti nella sala stampa del Pentagono, dove sono stati visti soprattutto esponenti dei media di destra e commentatori considerati più vicini all’amministrazione, mentre gran parte del tradizionale corpo stampa non era presente dopo aver rifiutato di accettare le norme. Il rapporto tra il New York Times e l’amministrazione Trump è già stato segnato da conflitti. In passato il presidente ha definito il giornale “uno dei giornali peggiori e più degenerati nella storia del nostro Paese” e “portavoce del Partito Democratico di Sinistra Radicale”. Il quotidiano era intervenuto a luglio a sostegno del Wall Street Journal, non ammesso a seguire il presidente in Scozia dopo articoli sul caso Epstein; mentre a settembre Trump ha fatto causa al NYT per 15 miliardi di dollari per presunta diffamazione. Nel nuovo documento giudiziario, la causa sostiene che la politica del Pentagono “incarna esattamente quel tipo di limitazione alla libertà di parola e di stampa” che le corti hanno già riconosciuto come illegittima. Le regole stabilite dal segretario alla Guerra Pete Hegseth codificano limiti severi all’accesso e introducono la possibilità di revocare le credenziali semplicemente per aver chiesto informazioni di interesse pubblico. Il Pentagono dichiara che le nuove restrizioni servono a proteggere la sicurezza nazionale, mentre i media affermano che si rischia di “criminalizzare l’attività giornalistica relativa alla sicurezza nazionale”.